Giallo d’inverno. La meraviglia delle mimose nel Ponente Ligure

Ecco dove il paesaggio a fine inverno si tinge di giallo. Sapevi che 9 mimose su 10 in Italia sono prodotte in Liguria? Viaggio nelle mimose dell’estremo ponente ligure

Giallo che più giallo non si può. Hai mai visto un albero di mimosa in fiore? È come se mille canarini ci si posassero improvvisamente sopra. E una valle con le mimose in fiore?  Una marea, una valanga di giallo, una flotta di canarini.
È proprio ciò che accade in Liguria, in provincia di Imperia, tra Vallebona e Perinaldo, nel periodo compreso tra febbraio e marzo.

La mimosa in Liguria

Arriva da lontano, ma la mimosa ha trovato in Liguria il suo habitat, tanto da diventare uno dei protagonisti dell’inverno. È una festa colorata, un folletto che salta da un pendio all’altro, uno strillo giallo tra le fasce dove la natura ancora dorme. Una voglia di primavera che apre il cuore di speranza nel pieno dell’inverno.
Originaria della Tasmania, la Mimosa (o Acacia dealbata) è arrivata in Liguria nel XIX secolo ed è oggi uno dei fattori più importanti del mercato floricolo: a lei sono dedicati più di 200 ettari tra coltivazioni e raccolta e la produzione ligure supera il 90 % di quella del resto dell’Italia.
Dal 1946, la mimosa è il fiore simbolo dell’8 marzo, la Festa della donna. La scelta fu fatta nel 1946, da un’idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei che proposero di usare la mimosa, poco costosa e accessibile a tutti, al posto delle violette, ancora oggi regalate in molti altri paesi in occasione della ricorrenza, ma troppo costose per una festa considerata tradizionalmente proletaria.

La fioritura e la coltivazione

In Liguria agli inizi di febbraio, già a fine gennaio nei casi più particolari, non è difficile trovare un albero di mimosa che accenda la giornata. Pieve Ligure, in provincia di Genova, la festeggia con una sagra popolare; a Ponente, in provincia di Imperia, invece, la mimosa è diventata parte del tessuto economico e culturale della zona.

Graziani Guglielmi abita a Vallebona, un piccolo comune nell’immediato entroterra di Bordighera. Coltiva la mimosa da trent’anni. Ogni anno aspetta la fine di gennaio per tuffarsi nel giallo. Il suo Ape si avventura sulle alture del borgo, tra serre, uliveti e chiesette rupestri, il motore sbuffa mentre supera pendenze proibitive che in un attimo portano in cielo. Del resto siamo vicino a Perinaldo, patria dell’astronomo Cassini, e con il cielo da queste parti hanno un rapporto particolare.

“Quella della mimosa è una bellezza delicata, effimera –  dice Graziano – la pianta vive si e no trent’anni, poi si spegne e bisogna sostituirla. Piante di trentadue, trentacinque anni possono considerarsi anziane e a breve moriranno. Negli ultimi anni, forse per il cambiamento del clima o per la coltura intensiva, le mie hanno cominciato ad avere problemi. Qui furono piantate sessanta piante, ora ce ne sono più soltanto trenta…”.
Dura poco la pianta della mimosa, come il suo fiore. Tanto flou, tanto è effimero e delicato il fiore, tanto fragile è la pianta. Del resto è una qualità della bellezza, quella di non durare al lungo. Però nel ponente ligure la mimosa si è adattata molto bene, ha trovato quello che cercava: inverni miti ed estati secche, proprio quello che ci vuole per favorirne la fioritura.

Fioritura di mimosa

Vallebona, fioritura della mimosa
Vallebona, fioritura della mimosa

“È una pianta delicata, ma di poche pretese, coltivarla non è poi difficile. Desidera terreni freschi, ben drenati, acidofili. Concime organico quanto basta. Attenzione ai venti: ha un apparato radicale piuttosto povero. Le ultime tempeste nella nostra zona hanno rovesciato parecchi alberi; nelle notti ventose io e mia madre non stiamo mai tranquilli, abbiamo sempre paura che le raffiche si portino via qualche pianta… e vorrei andare su, per aiutarle… ma poi al mattino le trovo lì, hanno resistito.
Per fiorire, però, la mimosa deve patire la sete: è anche per questo che cresce bene nel ponente ligure, perché qui d’estate piove molto poco. Non effettuo potatura: la potatura è la raccolta stessa.”

Come accade per le olive, la raccolta della mimosa ha qualcosa di ascetico. Graziano resta per ore da solo tra le sue piante. Sotto di lui, laggiù, la vita scorre tranquilla nei carruggi di Vallebona. Va a lavorare in una bella mattina di gennaio, anche se fa freddo, ma di quelle con il cielo completamente dipinto di blu.

Graziano Guglielmi
Graziano Guglielmi

“Stendo un telo per terra, poi comincio a raccogliere: prima i rametti più grandi. Si fanno mazzetti abbastanza grandi e quando si raggiungono i trenta chili si può fare un altro telo. Meglio raccogliere la mimosa un po’ acerba: poi la si metterà in una cella calda, in cui la temperatura è mantenuta a 20° e giungerà a maturazione al momento giusto. Ora il taglio è più grossolano, una volta in magazzino sceglierò i rametti migliori e li metterò nell’acqua per 24 ore e poi dentro la cella.”

Tra i baroni rampanti…

Per raggiungere i rami più alti, Graziano si trasforma in Cosimo Piovasco di Rondò, il Barone Rampante: mi distraggo un attimo e lo trovo sulle piante. E i suoi alberi lo accolgono, lui sale sicuro, quasi come fossero loro a porgergli i loro rami.
Ma da queste parti, più che nei luoghi di Italo Calvino, siamo in quelli di Francesco Biamonti, scrittore di San Biagio della Cima autore di quattro libri che rappresentano questi luoghi: L’angelo di Avrigue (1983) Vento largo (1991), Attesa sul mare (1994) e Le parole la notte (1998). Schivo, laconico, assorto come uno dei suoi personaggi – gente di frontiera, tutti con un assoluto, abbacinante destino – su di lui corrono molte leggende, come quella che coltivasse mimose e curasse uliveti. In realtà, in una intervista, aveva dichiarato di essersi rassegnato alla grande gelata del 1985 che gli aveva distrutto molte delle piante di mimosa perchè scrivere non gli lasciava più il tempo di coltivarle.

Graziano Guglielmi al lavoro
Graziano Guglielmi al lavoro

casolare_mimosa

“Coltivare la mimosa per me è stato naturale. I miei non facevano questo lavoro, ma avevano alcuni appezzamenti e piano piano mi ci sono dedicato”. Graziano Guglielmi”

Quante varietà di mimosa esistono? Come si coltiva?

“Questa è la Galuà, (in dialetto, in realtà si dice “Gaulois”), la più conosciuta, poi c’è la “Chiaro di luna”, la “Luna d’argento”, la “Denis bodei” e la Turnè (Tournaire), molto simile alla Gaulois, ma che matura un mese prima e poi un’altra, molto richiesta che si raccoglie acerba, a settembre. Per chi non è un produttore non è facile distinguerle, ci sono piccole variazioni nella foglia o il fiore. Replicare una mimosa da seme non è facile, si preferisce innestare la varietà che si vuole su un selvatico più resistente. Ci sono persone in paese che sanno farlo bene, noi ci rivolgiamo a loro”.

mimosa in magazzino

Graziano mi confessa anche qualcosa che aggiunge bellezza alla mimosa:

“Per fortuna la mimosa non ha parassiti. Io in questi anni non ho mai fatto trattamenti con anticrittogamici o antiparassitari né con concimi chimici”. Così si può star tranquilli che il nostro regalo per la Giornata della donna non conterrà alcun tipo di veleno.
Per farla durare più a lungo basta qualche semplice accorgimento: rimuoverla dall’involucro di plastica in cui viene regalata, metterla a bagno in acqua pulita, meglio se inacidita con l’aggiunta di un paio di gocce di limone. Posizionarla in piena luce e in ambiente umido e vaporizzare acqua fresca sui fiori: la mimosa rilascia molta acqua durante la traspirazione quindi la grande perdita di liquidi potrebbe farla seccare prima”.

Vallebona
Vallebona

“In paese c’è ancora chi sa innestare la mimosa. Sono piccoli coltivatori. Noi cerchiamo loro quando abbiamo bisogno di piante nuove”

Arriviamo sulla dorsale. A Ponente si vede Perinaldo, con le alpi innevate alle spalle. Più in là altri monti, ma è già Francia.
Tornando giù, Graziano allunga un po’ la strada. Mi vuole mostrare un luogo che, dice, con la mimosa fiorita è bellissimo. Sono stradine che s’avventurano tra pinete, orti, villette e macchia mediterranea, zone con nomi che sanno d’antico, “Suseneo”, “Mergai”,  “Massabò”; ogni tanto, da una curva, spunta il mare di Bordighera.

“Ecco, questo luogo si chiama “paixe d’öji”, la pace degli occhi” – dice.
E, infatti, l’orizzonte si abbassa, spunta il mare, qualche sparuto cipresso indica come un dito il cielo. È un buon posto dove venire a riposarsi dopo una giornata di lavoro.

Veduta su Perinaldo
Veduta su Perinaldo