Taggia. Il ponte sulle rive del tempo
Percorrendo il lungo ponte medievale di Taggia ci si immerge nella sua storia, fino a perdersi nei suoi sapori e nelle sue tradizioni
Fin da bambini, a Taggia, ci si chiede: ma dove porterà quel lungo ponte? Perché l’hanno costruito? Cosa ci sarà dall’altra parte di così importante da raggiungere?
A volte non c’è un motivo per costruire un ponte, lo si troverà strada facendo. Un ponte è sempre un’opportunità. A Taggia, da tempo hanno capito che è meglio gettare ponti che costruire muri (tranne quelli a secco, ovviamente, i maixei che reggono le colline). Così negli anni hanno curato il loro lungo ponte, lo hanno amato, allungandolo più che potevano, per attraversarlo nei momenti importanti della vita.
Ne sono nate 16 arcate, più di duecento metri di lunghezza, una torre di Pisa, un Colosseo in orizzontale. E se la valle non terminasse con la bellissima villa Curlo e le pendici di Castellaro, i tabiesi il loro ponte lo avrebbero continuato all’infinito, fino a Genova, fino in oriente, chissà dove sarebbe arrivato.
Tutto inizia a Taggia, in una valle aperta sul mare e che si chiude in fretta e sale fino alle vette più alte della Liguria. La fertile piana e le colline attorno al borgo raccontano di una grande vocazione agricola: i pendii vibrano di foglie d’ulivo e d’autunno si colorano di reti per raccogliere le olive. I numerosi campanili parlano invece di un paese alacre e devoto, dove ci si adopera ancora per far coincidere i tempi della natura con quelli dell’uomo. I secoli hanno lasciato a Taggia santi, opere d’arte, tradizioni, patrioti, scultori, musicisti. Le sue vie, oltre all’olio nuovo sul pane, regalano i canestrelli, la figaza – la versione taggiasca della sardenara – biscotti al finocchio e un bicchiere di Moscatello, un antico vitigno ligure, apprezzato da papi e corti di tutta Europa.
Dunque, attraversa il ponte: oggi sai da dove partirai, dai piedi della città vecchia, sulla sponda del torrente, nei pressi di uno dei bastioni che difendevano la città dai saraceni; ma non sai dove ti porterà, ovvero, quando ti porterà. Perché quel ponte, più che nello spazio, è costruito nel tempo.
Ognuna delle sue 16 arcate è un salto all’indietro: ti troverai, ad esempio, nel 1831, quando due ragazzini si salvarono miracolosamente dal crollo di una delle arcate durante un’alluvione, come racconta l’edicola sul percorso. Poi c’è Napoleone: anche allora l’Argentina era in piena e i cannoni del Generale Bonaparte non riuscirono ad attraversarlo: erano troppo larghi. Il suo esercito restò così a Taggia per una settimana, insegnando la modestia alle fanciulle e cancellando tutti i bellissimi portali nobiliari d’ardesia nel centro storico.
La parte centrale del ponte fu costruita probabilmente negli anni della Podesteria, nel XIII secolo, quando Taggia, ceduta alla Repubblica di Genova dai Clavesana, mantenne una certa autonomia e si sviluppò come centro più importante della Valle Argentina. Più avanti passerai sulle pietre incastrate dai monaci benedettini, gli stessi che portarono la famosissima cultivar d’oliva su queste colline. Ma ecco, non sei ancora arrivato: ti mancano le arcate romane – qui vicino passava la Via Julia Augusta – e ancora, sempre più indietro, si dice che le prime arcate furono costruite da Magone, fratello di Annibale, con cui i taggiaschi s’allearono durante le guerre puniche.
Frantoio Nuvolone
Prima del tuo viaggio nel tempo sul ponte, puoi farne uno nella civiltà dell’olio.
Proprio ai piedi del ponte medioevale di Taggia c’è il frantoio Nuvolone. D’autunno è uno dei luoghi più affollati che puoi incontrare sulla Strada statale 548 della Valle Argentina: auto che scaricano sacchi d’olive, olivicoltori che aspettano l’olio nuovo fantasticando su rese e annate, curiosi attirati dal profumo di sansa. Con un po’ di fortuna potrai farti spiegare come si produce l’olio d’oliva oggi e tutta quella serie di complessi processi che come per miracolo conducono all’oro di Taggia.
Se invece ti interessa conoscere come si produceva un tempo, vai al frantoio Boeri: all’interno c’è anche un piccolo museo con gli strumenti con cui lavoravano alla fine del 1800 i “defiziei”, come chiamano ancora oggi a Taggia i frantoiani.
Un consiglio: non resistere alla tentazione di assaggiare l’olio nuovo. Mettine qualche goccia sul pane, è un’esperienza unica, che ricorderai a lungo.
Frantoio Boeri
Il canestrello di Taggia
C’è qualcosa, a Taggia, che può raccontarti in un poco tutta la storia e la cultura dell’olio: il canestrello.
Nacque dagli avanzi degli impasti casalinghi: acqua, sale, lievito, olio sagomati a ciambella e cotti al forno. I risultati della spremitura dell’olio gli danno una fragranza e un sapore perfetti, a tavola può accompagnare praticamente tutto, a colazione, a pranzo, spuntino e cena. A differenza di altrove in Liguria, il canestrello di Taggia è salato e non dolce. Ovvero, sta a te: puoi mangiarlo a colazione con nutella o marmellata, oppure all’aperitivo con formaggi, salumi e un bicchiere di vino rosso.
La sua forma ricorda gli spurtìn, le ciambelle in canapa in cui si inseriva un tempo la sansa di olive per poi pressarla, ma anche i gunbi, le pesanti macine dei frantoi.
Puoi trovarlo nelle numerose panetterie in centro, come al Bar Globo, a due passi dal ponte romanico.
“Facile appassionarsi al canestrello di Taggia – racconta Bianca Pastorino del Globo – piace praticamente a tutti. Noi siamo vicini alle scuole: i ragazzi lo mangiano in ogni momento come merenda, spuntino o a pranzo. Noi lo produciamo usando la ricetta tradizionale, con la lievitazione in più fasi. Data la sua versatilità ne abbiamo anche inventato una versione con gocce di cioccolato e una con olive taggiasche. E poi c’è la colazione taggiasca: un biscotto ai semi di finocchio, un canestrello e una tazza di caffè latte. Non c’è modo migliore a Taggia per cominciare la giornata”.
Bar Globo, la colazione taggiasca
Feste e tradizioni
Come avrai capito, a Taggia, spesso, il tempo ritorna sui suoi passi. Succede con le tradizioni, eventi che collegano i taggiaschi di oggi con quelli di tanti anni fa, come la festa in onore di San Benedetto Revelli, il secondo sabato di febbraio in cui, per ricordare la salvezza dalle invasioni saracene, si sparano i famosi furgari e il borgo rinasce letteralmente dalle proprie ceneri, ospitando anche una delle rievocazioni storiche più importanti della Liguria.
Oppure, d’estate, a luglio, con la festa di Santa Maria Maddalena del Bosco e il suggestivo Ballo della morte, in cui, con il profumo della lavanda, si celebra il chiudersi e riaprirsi del ciclo della natura che deve ripetersi ogni anno per propiziare la comunità e il raccolto.