Pioniere. La mostra di Regione Liguria per la Giornata Internazionale della donna
Regione Liguria celebra l’8 marzo con “Pioniere“, una mostra fotografica diffusa a Genova in Piazza De Ferrari, dall’8 al 19 marzo 2023 con immagini di donne provenienti dall’Archivio fotografico Francesco Leoni.
“Pioniere”, a cura di Anna Dentoni e Clara Maria Fabbri, vuole ricordare cinquant’anni di storia sociale con istantanee di donne, che arricchiscono di particolari il cambiamento verso l’emancipazione femminile che per molti aspetti è tutt’ora in divenire.
Sono lavoratrici, insegnanti, madri, sportive e attrici… pioniere di un mondo in trasformazione che Francesco Leoni attento al costume, al lavoro, al mutamento antropologico e sociale di Genova, è stato capace di rappresentare.
La mostra presenta al grande pubblico, attraverso installazioni in piazza De Ferrari, gli scatti di Francesco Leoni, uno dei maggiori fotoreporter genovesi del xx secolo.
Leoni comincia la sua attività nel 1937 e, in oltre mezzo secolo, diventa una delle fonti più preziose per la memoria storica della nostra città: detiene un archivio di oltre tre milioni di negativi, una straordinaria risorsa iconografica.
L’archivio è visitabile solo su appuntamento al Galata Museo del Mare di Genova
Era consuetudine posare per una foto ricordo sul ponte della nave allora più lussuosa a mondo, il Conte Grande. Costruita in Italia nel Cantiere San Marco dello Stabilimento Tecnico Triestino per conto del Lloyd Sabaudo, il Conte Grande, rappresentò l’ultima grande nave italiana che allestita con uno straordinario gusto ecclettico decorativo, divenne punto di riferimento per il jet-set dell’epoca e rappresentò un sinonimo d’eccellenza, distinzione e lusso. Il transatlantico partì da Genova per il viaggio inaugurale il 13 aprile 1928 destinazione New York. Successivamente fu trasferito alla linea del Plata in Sud America, mantenendo viaggi saltuari per l’America del Nord. Durante la guerra fu requisito per il trasporto truppe e nel 1947 fu completamente ricostruito e riprese il mare. Messo in disarmo il 7 settembre 1961 arrivò a La Spezia per essere demolito dopo 33 anni di onorato servizio.
Fulvio Cerofolini, partigiano e Componente del Comitato nazionale dell’Anpi, è eletto sindaco di Genova il 2 aprile 1975. In questa foto lo vediamo nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi mentre omaggia con la mimosa le donne dell’UDI. L’UDI, Unione Donne in Italia, dal Dopoguerra ad oggi è impegnata nella difesa dei diritti delle donne, occupando un ruolo di spicco nelle principali battaglie sociali italiane. Nel novembre 1943 erano stati creati i Gruppi di difesa della donna diretti da Caterina Picolato, riunendo gruppi femminili e donne antifasciste d’ogni provenienza con lo scopo di mobilitare le masse femminili contro l’occupazione. Da questi Gruppi escono le prime staffette e le prime partigiane combattenti appartenenti ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica); il loro organo clandestino Noi donne fu ufficialmente riconosciuto dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. L’UDI nacque nel settembre del 1944 e si costituì ufficialmente il 1° ottobre 1945.
Il 1967 e gli anni successivi videro la contestazione delle giovani generazioni impegnate a “rivoluzionare” la società e la politica. Quegli anni ebbero una profonda influenza sui processi di trasformazione dei comportamenti e delle mentalità; in questa immagine i manifestanti sono seduti in sit-in impedendo lo svolgimento del traffico come segno di protesta. Il movimento di protesta esplose nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, contestando i valori tradizionali e le istituzioni. La protesta che mobilitò tutta l’Italia fu quella contro la guerra in Vietnam che può essere considerato il vero catalizzatore della rivolta giovanile nel mondo occidentale. Nel 1967 in Italia come in tutto il mondo si susseguono moltissime manifestazioni, assemblee studentesche, fiaccolate, raduni nelle fabbriche, veglie di protesta davanti ai consolati USA al grido di “Yankee go home”.
Le prime colonie di vacanza per bambini in Italia sorsero alla metà dell’Ottocento, per poi diffondersi in modo più organizzato e sistematico tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. La finalità era quella di cura rivolta a bambini bisognosi e malati che non avevano accesso alle terapie. Durante il fascismo, la gestione delle colonie era affidata alle federazioni locali del Partito nazionale fascista e verso la metà degli anni Trenta le colonie di vacanza furono riorganizzate secondo le linee del partito per accentrare il controllo dello stato e del partito.
In Italia la scuola di avviamento professionale permetteva a chi aveva conseguito la licenza elementare di continuare gli studi con una formazione verso il mondo del lavoro o le scuole professionali e tecniche. Nelle scuole professionali femminili si insegnavano anche discipline di economia domestica (sartoria, ricamo, cucito), merceologia e contabilità, indispensabili a far si che le ragazze acquisissero tutte le abilità necessarie al buon governo della casa. Essere una buona madre e una brava moglie era l’unico ruolo prevedibile per la donna. Nel 1940 venne emanata una legge che contemplava la costituzione della Scuola media, triennale, l’unificazione dei corsi inferiori di Licei, Istituti tecnici e magistrali, ma lasciava ancora in essere un secondo canale costituito dalla Scuola di Avviamento professionale. La struttura della scuola italiana rimarrà sostanzialmente invariata fino al 1962.
Fino a qualche anno fa quasi tutti gli asili infantili dei nostri paesi erano affidati alle suore che, accanto alla specifica attività per i piccoli, tenevano anche nei mesi invernali una così detta “scuola di lavoro” per ragazze, dove imparare i primi elementi di sartoria e di ricamo necessari per l’utilità in famiglia. Non c’era allora la Scuola Media dell’obbligo e, finite le elementari, alcune famiglie affidavano le figlie alla suora dell’asilo, dove in un ambiente idoneo e protetto imparavano a cucire e a fare qualche semplice ricamo. Per le più piccole il lavoretto poteva essere un centrino o un grembiule che veniva portato a casa con orgoglio alla fine del corso, per le più grandi invece la scuola insegnava e le seguiva con perizia in lavori più impegnativi, i quali potevano essere capi di biancheria per la casa, intimo o per il letto e che spesso andavano a comporre la loro dote nuziale.
Al di là di quello che si può pensare, le donne hanno sempre amato i motori ed è proprio grazie ad alcune intuizioni femminili che nel corso degli anni sono stati apportati miglioramenti al mondo dell’automobile. La prima italiana ad aggiudicarsi la patente di guida è Ernestina Prola, torinese, nel lontano 1907: aveva 31 anni e la patente le serviva per lavorare come autista in una scuola. Pensare che negli anni ‘30, le donne non avevano ancora ottenuto il diritto al voto!
Nel 1959 entra in vigore il “Testo Unico sulla circolazione stradale”, che apporta novità riguardo il sistema delle categorie e soprattutto introduce la distinzione tra patenti ad “uso privato” e ad “uso pubblico”. Una ulteriore innovazione è l’instaurazione della patente per motoveicoli. Introduce, inoltre, per la guida senza patente la pena dell’arresto da 3 a 6 mesi, congiunta con l’ammenda da lire 10.000 a 40.000.
Durante il fascismo, l’aspetto ordinativo e coreografico arriva ad assorbire l’intera dimensione educativa e come afferma Foucault «la disciplina aumenta le forze del corpo (in termini economici di utilità) e diminuisce queste stesse forze (in termini politici di obbedienza)». In quel periodo l’educazione fisica, sotto l’influenza delle finalità politiche, aveva gradualmente perso la sua natura di sana, feconda e necessaria pratica fisiologica ed era degenerata in un complesso di esercitazioni e di addestramenti improntati ad un rigido formalismo, che assopiva le anime giovanili e ne addormentava le sane energie e le libere tendenze. Nel 1946 l’Italia esce dalle macerie belliche e attribuisce ai gesti e alle parole un nuovo significato ispirato al linguaggio delle moderne democrazie: «La forza fisica deve essere posta a servizio di una volontà diretta ad operare secondo le leggi morali». La crisi del dopoguerra, la mancanza di fondi, la requisizione delle palestre per gli sfollati e l’assenza di attrezzi metteranno in difficoltà le società Ginnastiche che si riprenderanno solo negli anni ‘50.
Il complesso sportivo delle piscine d’Albaro fu realizzato negli anni ‘30 del Novecento su progetto dell’ingegnere Paride Contri. All’epoca era una delle più moderne strutture di questo tipo in Europa espressamente studiata per favorire la formazione di nuovi atleti nella disciplina del nuoto.
Già nello stesso anno dell’inaugurazione si ottengono i primi risultati sul fronte sportivo. Gli agonisti possono finalmente contare su una sede adeguata per gli allenamenti giornalieri e, tra loro, a mettersi in evidenza c’è una giovane nuotatrice della Sportiva Sturla: Lina Volonghi! Vince il titolo regionale nei 50 metri stile libero con il tempo di 36 secondi e successivamente diventa vicecampionessa italiana nei 100 metri. Con Braglia, Pinotti e Voltolini festeggia anche il titolo nella staffetta 4 x 50 stile libero. Lina – come ben sappiamo – non si dedica solo allo sport e, all’età di 15 anni, sotto l’ala protettrice di Gilberto Govi, inizierà la sua carriera teatrale.
Nel XIX secolo la scherma è ancora un’attività praticata quasi esclusivamente dagli uomini; il progresso negli studi di fisiologia sui benefici che questa disciplina sportiva apporta al corpo e alla mente lentamente favorisce l’ingresso femminile nel mondo della scherma. Negli anni ‘20 e ‘30 la scherma maschile italiana conquista costantemente medaglie alle Olimpiadi e ai Mondiali. Negli anni ‘50 l’Italia compete con gran successo anche a livello femminile e con la squadra di fioretto guidata da Irene Camber che nel 1952 a Helsinki conquista l’oro femminile azzurro assoluto ai Giochi olimpici.
Il 6 agosto 1936, alle Olimpiadi di Berlino, Ondina Valla vince la finale degli 80 metri ostacoli, prima donna italiana vincitrice della medaglia d’oro ai Giochi olimpici. L’atleta, appena sedicenne aveva conquistato il primato italiano negli 80 metri ostacoli ed era stata selezionata già nel 1932, per i giochi olimpici di Los Angeles: tuttavia non vi aveva potuto partecipare per l’opposizione del Vaticano, nella persona di Papa Pio XI. Ondina Valla sarebbe stata infatti l’unica donna in una squadra tutta al maschile e avrebbe dovuto gareggiare con la divisa composta da maglietta e pantaloncini, elemento considerato sconveniente. L’importanza della vittoria olimpica portò Ondina Valla a diventare un esempio nel mondo. Tuttavia, questa vittoria divise l’opinione pubblica: da un lato, chi condivideva l’approccio del Vaticano alla questione sportiva femminile, dall’altro, chi riteneva che fosse giunto il momento per le donne di esprimere sé stesse anche attraverso l’affermazione nel mondo dello sport.
Costruito tra il 1924 ed il 1925 nei cantieri Ansaldo del Muggiano, il Leonardo da Vinci era un grande piroscafo; era stato ordinato nel 1919 dalla Transatlantica Italiana Società Anonima di Navigazione, che lo registrò presso il Compartimento marittimo di Genova. Il piroscafo faceva parte di una serie di sei navi inizialmente progettate come piroscafi da carico, ma completati con importanti sistemazioni per passeggeri. Nel 1929 salpò diretta a Londra con un trasporto speciale di un migliaio circa di opere d’arte italiane per una esposizione alla Burlington House di Piccadilly. Nel 1936 fu adibita al trasporto delle truppe in Africa e questo scatto documenta un viaggio eccezionale di animali che possiamo ipotizzare destinati ad un circo o zoo. Singolare che sia una donna ad accudirli!
Al suo esordio e per molto tempo l’aviazione è stata ambito riservato alle capacità degli uomini: in realtà la storia ci racconta anche di molte donne che hanno sfidato il volo e i cieli in modo coraggioso, lasciando il segno delle loro imprese. Oggi le loro gesta sono fonte di ispirazione per tutte quelle donne che hanno la passione dell’aviazione. Fra le donne pilota più famose ricordiamo Amelia Earhart, nel 1932 prima donna a sorvolare da sola l’Oceano Atlantico: il suo viaggio iniziò a Terranova e si diresse a Parigi con un Lockheed Vega 5B. A quella prima importante impresa, seguirono molti altri traguardi ambiziosi, dal record di altitudine raggiunto all’essere la prima donna a volare da sola sopra il Pacifico. Nel 1937 tentò di superare il record del giro del mondo, ma l’Electra Lockheed in cui stava volando scomparve e il suo corpo non fu ritrovato. Ancora ricordiamo tra le aviatrici italiane che si sono distinte per le loro carriere alla cloche, Gabriella Angelini, più nota con il diminutivo di Gaby. Conseguito il brevetto da pilota nel 1931 a soli 19 anni partecipò ad una gara aperta ad entrambi i sessi, il Giro di Lombardia, dove si classificò settima. Divenne famosa partecipando ad un raid europeo di 25 giorni che faceva tappa in diverse città europee sorvolando Austria, Cecoslovacchia, Germania, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito e Francia; il velivolo Breda 15 I-TALY usato da Gaby Angelini è conservato al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano. La pioniera dell’aria, non ancora ventenne, ricevette anche encomi ufficiali, a cominciare dal telegramma di congratulazioni inviato dal ministro dell’aeronautica Italo Balbo, sino ad essere insignita dell’Aquila d’oro dal Regime fascista. Il suo ultimo volo fu il viaggio da Milano a Delhi quando il 3 dicembre 1932, durante la tappa Bemgasi-Tobruk, a causa di una tempesta di sabbia l’aereo entrò in avaria, precipitando. La salma di Gaby fu riportata in Italia ed esposta al pubblico omaggio.
1937
Operaia addetta alla macchina in uno jutificio a Isoverde, Genova. È un viaggio all’indietro nel tempo per ricordare la vita nello jutificio.
Il fascismo, pur attribuendo alla donna un ben preciso compito di cura e di sostegno del focolare domestico, poté tuttavia tollerare eccezioni a questo ruolo femminile solo se il lavoro si svolgeva in contesti non troppo intensi e comunque adatti alle peculiarità fisiche e psicologiche femminili. Pertanto, il lavoro di filatura e tessitura che, come si evince da numerose fonti iconografiche fin dal Medioevo era sempre stato svolto anche dalle donne, viene rappresentato con tratti che tendono ingentilire processi lavorativi che si svolgevano invece in condizioni ben più degradate. Così, mentre troviamo scatti fotografici di uomini quasi sempre accanto a grandi macchine e inquadrati con una prospettiva che tende ad ampliarne le dimensioni, quasi a sottolineare che la modernità della meccanizzazione industriale appartiene a quel genere, le donne sono invece quasi sempre ritratte accanto a telai, impiegate nel lavoro di filatura o in quello di “operaie ripassatrici”. Anche a Genova Voltri, dalla metà dell’Ottocento, Giacomo e Giuseppe Westermann trasformano alcuni edifici in filande; alla fine del secolo si costruisce lo jutificio Vigo che occupa tutto il borgo e che resta in attività fino al 1952 quando cessa l’attività, segnando la conclusione di una esemplare plurisecolare vicenda industriale.
Lo scatto ritrae la padrona che cauta si muove tra i banconi circondata dalle uova in uno dei tanti negozi aperti dalla ditta Ivaldi tra gli anni ‘50 e ‘60 su tutto il territorio genovese. È un’azienda di famiglia che inizia nel 1915, quando nonno Domenico lascia i genitori e i numerosi fratelli per recarsi ad Alassio a lavorare con lo zio, vendendo uova fresche su un carretto trainato a cavallo. In pochi anni Domenico si specializza nella vendita di prodotti freschi, comprendendo l’importanza della qualità delle materie prime e dedicando particolare cura all’allevamento degli animali.
Nel 1922 apre il primo punto vendita “Ivaldi” a Genova, seguito in poco tempo da altri negozi, tutti in Genova. Gli anni ‘50 e ‘60 vedono Domenico accrescere continuamente la propria esperienza nella vendita di prodotti freschi, grazie anche all’attività di grossista che svolgeva al porto, colmo di navi e frequentato da passeggeri provenienti da ogni parte del mondo. Dagli anni ’70 i figli di Domenico iniziano a prendere in mano l’attività di famiglia, dividendosi i ruoli tra la direzione dei negozi, la gestione delle forniture a bordo delle navi e gli allevamenti di pollame.
Oggi Ivaldi è una realtà consolidata, rinomata per l’eccellenza dei suoi prodotti e punto di riferimento della gastronomia ligure.
C’è stato un tempo in cui le edicole di giornali erano piccoli templi, con i propri fedeli frequentatori, che ogni mattina, dopo il caffè del risveglio e prima del treno per il lavoro fuori porta, cercavano carta fresca di inchiostro per cominciare la giornata. Con la complicità dell’edicolante, spesso quasi un confidente e una delle prime persone che incontravi nella lunga giornata, sempre pronto ad una battuta ed a un sorriso, l’edicola è vista come spazio del tempo sospeso, una retroguardia dove indugiare prima di andare sulle frontiere del nuovo giorno.
Nelle edicole si vendevano giornali, quotidiani e settimanali, riviste e fumetti, buste regalo e figurine. Un ritrovo di umanità, un crocevia di sguardi e mezze frasi, di indugi e chiacchiere, una finestra sulla città e sul mondo da dove sbirciare sulla vita degli altri. Tutto questo ci rappresenta la fotografia di Paolina Capitani che con il suo sguardo attento ma nello stesso tempo disinteressato controllava tutto ciò che succedeva nel quartiere.
Le edicole erano uno dei luoghi in cui la notte passava le consegne al giorno. E i pacchi di giornali accatastati erano le sentinelle che scrutavano l’alba, i messaggeri delle storie piccole e grandi, di divi e poveri cristi, campioni e scartine, acrobati e nani, cantastorie e cialtroni.
A soli 23 anni lascia il lavoro di impiegata alle poste di Monterosso per diventare una delle due prime “conduttrici” (i viaggiatori li chiamano “controllori”) donne del compartimento ferroviario di Genova.
– Non posso mai stare ferma, sono dinamica e quindi mi piace il lavoro dinamico, odio rimanere chiusa come in trappola fra quattro mura, seduta a un tavolino con una pila di cartacce davanti. Anche se sconclusionata amo questa vita che mi permette la massima libertà di movimento -.
Nel ’69 Annamaria Coselli decise dunque di partecipare a un concorso bandito dalle ferrovie. Si piazzò all’undicesimo posto su cinquemila candidati.
– La reazione del pubblico è quasi sempre di sorpresa. Qualcuno mi dice: “signorina c’è posto si accomodi”. Sorrido, faccio finta di niente… Confesso che avevo un po’ di diffidenza, ora però è passata. Il mio è un lavoro faticoso, ma entusiasmante, mi da la possibilità di conoscere persone di ogni genere e di viaggiare – .Da “Il Secolo XIX”
Nella prima metà degli anni Cinquanta le principali rivendicazioni delle donne sul terreno del lavoro sono l’attuazione del dettato costituzionale sulla parità salariale e la realizzazione di una tutela della maternità che garantisca non solo migliori condizioni di lavoro, ma anche una serie di servizi esterni di sostegno (asili nido, mense, ecc.). La legge sulla tutela delle lavoratrici madri verrà approvata nel 1950 e rappresenta un importante risultato per le lavoratrici italiane, ma si apre un altro fronte di rivendicazioni: molte imprese per aggirare la legge, impongono alle assunte la cosiddetta clausola di nubilato, che prevede il licenziamento in caso di matrimonio. La Centrale del latte di Genova si costituisce a Fegino nel giugno 1935 da un consorzio fra cooperative di produttori di latte e allevatori lombardi.
Fin dagli anni ‘60, con il marchio ORO, l’azienda raggiunge il massimo splendore e diventa il latte per eccellenza dei genovesi.
L’azienda, acquisita da Parmalat Spa, cessa l’attività il 5 ottobre 2012, dopo 75 anni di attività.
Il binomio «donne e motori» ha da sempre suscitato opinioni contrastanti, ma questo scatto mette tutti d’accordo: le modelle non sono solo sul cofano ma anche al volante! Il “62” sul parabrezza potrebbe essere il numero di gara e la sfilata di moda l’anteprima della stessa. Un momento di svago per catturare l’attenzione di molti visitatori, sia sulle auto da sogno che sugli abiti indossati dalle modelle, per ammirare le ultime proposte di moda. Una delle gare automobilistiche più partecipate è stata la Milano-Sanremo, istituita nel 1906, interrotta durante il Secondo conflitto, per poi ritrovare dal 1948 l’antico splendore. Grazie anche al sempre più numeroso corollario di pubblico che in quegli anni faceva da seguito alla gara, diventa un punto di riferimento anche per il numero sempre maggiore di equipaggi stranieri, segnalandosi altresì anche per la cospicua partecipazione femminile che porterà addirittura alla costituzione di un’apposita “Coppa delle Dame”.
Tra la fine degli anni ‘50 e la prima metà degli anni ‘60 e come in tante altre città, anche a Genova la Ditta Martini&Rossi realizza la Terrazza Martini. L’ultimo piano (il trentunesimo) della Torre Piacentini ha ospitato fino agli anni ‘80 la Terrazza Martini, oggi Terrazza Colombo. La Torre, disegnata dagli architetti Marcello Piacentini e Angelo Invernizzi, costruita dal 1935 al 1940, alta 108 metri, fu il grattacielo più alto d’Europa fino alla costruzione dell’edificio residenziale Kotel’ničeskaja naberežnaja a Mosca, nel 1952.
L’interno della Terrazza riproduceva una nave ed era punto di riferimento per numerosi eventi: riunioni, tavole rotonde, seminari, convegni, presentazioni, meeting, corsi di formazione, conferenze stampa… In base alle esigenze, lo spazio era personalizzato e la location si trasformava adeguandosi ad ogni occasione. In una di queste occasioni abbiamo la visita dell’attrice Anna Magnani, ritratta con alle spalle il panorama mozzafiato sulla città.
Una donna che amava la vita più di altri nonostante la sua malattia la costrinse a vivere per 29 anni in un polmone d’acciaio all’Ospedale di San Martino di Genova. Rosanna Benzi, nel 1962 non ancora quattordicenne, fu colpita dalla poliomielite bulbo-spinale che le causò una tetraplegia e una grave insufficienza respiratoria che la costrinse a trascorrere il resto della vita attaccata ad una macchina che le permetteva di respirare. Nonostante ciò, è stata un’attivista, giornalista e scrittrice, nota a tutti per le sue numerose battaglie in favore dei diritti delle persone diversamente abili. Rosanna divenne un personaggio pubblico poco più di un anno dopo il suo ricovero, quando Papa Giovanni XXIII le inviò una lettera con cui le manifestava la propria riconoscenza e le impartiva la propria benedizione. Gli organi di stampa dettero ampio risalto alla sua storia e il nome di Rosanna Benzi divenne conosciuto a livello nazionale. La vicenda ha un antefatto che fu raccontato 20 anni dopo nel libro “Il vizio di vivere”. Nel maggio del 1963 Rosanna aveva manifestato privatamente ad alcuni amici l’intenzione di offrire la propria vita e le proprie sofferenze per favorire la guarigione del Papa, allora gravemente malato e ormai prossimo alla morte. Gli amici stessi, senza avvertirla, avevano spedito una lettera alla segreteria vaticana, con cui informavano il Pontefice del desiderio della ragazza. L’improvvisa notorietà contribuì a far maturare in Rosanna la propensione all’impegno sociale. In età adulta Rosanna Benzi sarebbe diventata una delle voci più autorevoli ed ascoltate delle campagne a sostegno dei diritti delle persone con disabilità. Se ne è andata in punta di piedi il 4 febbraio 1991.
Isa Miranda è lo pseudonimo dell’attrice italiana Ines Isabella Sampietro (1905-1982). Fin da piccola ribelle ed anticonformista, studia recitazione all’Accademia dei Filodrammatici ed esordisce con piccole parti. Debutta nel cinema nel 1933 ed il primo grande successo arriva con l’interpretazione del film “La signora di tutti” (1934) di Max Ophuls. Dopo molti film di successo, nel 1937 approda negli Stati Uniti dove è accolta con grande entusiasmo. In questa foto è una passeggera del Rex, il transatlantico simbolo dell’Italia, varato pochissimi anni prima. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’embargo ai film americani imposto dal fascismo, i suoi film non ebbero il successo desiderato, determinando così il ritorno in Italia di Miranda.