Le bugie di carnevale
Carnevale ogni scherzo vale! Soprattutto se ci sono le dolci bugie: classiche o farcite alla marmellata o cioccolata sono una ghiottoneria unica di questa festa Preparate con semplici ingredienti come uova, farina e burro le bugie sono il dolce per antonomasia del Carnevale. Croccanti ma friabili, sottili e ricoperte di zucchero a velo, le bugie non possono mancare tra i coriandoli, stelle filanti, maschere e scherzi. Diffuse su tutto il territorio nazionale, sono conosciute con diversi nomi e la ricetta può variare da regione a regione. Bugie, cenci, chiacchiere, cròstoli, frappe, gale e galani, intrigoni, sfràppole e zéppole, hanno così tanti nomi che anche i linguisti non sanno più cosa fare: anche l’Accademia della Crusca ha provato a catalogarle. Abbiamo chiesto lumi al prof. Lorenzo Coveri, ordinario di Linguistica Italiana all’Università di Genova. “È sicuramente uno dei geosininonimi che ha più varianti nella lingua italiana. Un altro, ad esempio, è il termine usato per “marinare” la scuola. E in Liguria? Predomina su tutti “bugie”, ma anche “chiacchere” e addirittura “crustoli”. Ricetta Ingredienti Preparazione Stendete l’impasto riposato sino ad ottenere una sfoglia sottile; con una rotella zigrinata tagliate delle strisce a forma rettangolare o romboidale. Praticate due tagli al centro delle strisce ottenute e friggetele in abbondante e caldo olio. Un volta dorate scolatele e asciugatele. Lasciare raffreddare e servire cospargendole di zucchero a velo.
La stessa origine è diversa a seconda delle zone. Si possono organizzare in gruppi semantici: alcune regioni fanno riferimento a nastri, strisce, fiocchi o intrecci, i bastoncèlli e frangette e i fiòcchi in Toscana; ma anche le gale in Piemonte (la gala è una striscia di tessuto che si metteva sul cappello), galani in Veneto, (galan in veneto significa ‘fiocco, balza’), gli intrigoni in Emilia Romagna;
Altre regioni richiamano la forma sferica, un frutto, un seme: castagnòle di Friuli, Veneto, Marche, Toscana e Lazio; cicerchiata in Abruzzo e centro Italia (cicerchia nome di una leguminosa, dal latino cicercula dimin. di cicer ‘cece’), le favarèlle, favétte, favìcchie o fàve mielàte della Toscana, la pignolata di Calabria e Sicilia.
C’è poi chi si riferisce alla loro croccantezza: crogétti in Toscana (da crogiare ‘rosolare’), crostoli, grostoli , grostoi in Trentino, Friuli e Veneto, taralli in Basilicata (dal lat. torrere ‘disseccare, abbrustolire’), ma anche a materiale di scarto, cenci, trucioli o stracci toscani, o frappe. Infine ci sono le parole che appartengono al gruppo di chiacchere, cioè cose inutili e scherzose, come le frappe, i berlingozzi toscani il nome toscano del ‘giovedì grasso’) e le stesse bugie”.
300 gr farina 00, 40 gr burro, 50 gr zucchero, 1 uova intero, 1 tuorlo, la scorza grattugiata di un limone 1 cucchiaio di vino bianco
Su una madia disponete la farina a fontana e aggiungete al centro il burro ammorbidito, le uova, la scorza di un limone grattugiato, lo zucchero, il vino bianco e impastate sino ad ottenere un impasto omogeneo. Formate un panetto e avvolgetelo in una pellicola trasparente fate riposare per circa mezz’ora.