Alle Cinque Terre, il treno corre all’insù. Ecco chi si occupa degli straordinari monorotaia nei vigneti, indispensabili per la vendemmia
Il treno è, forse, il miglior modo per godersi la Liguria. Basta accomodarsi e guardare dal finestrino: ci s’accorge quasi subito di viaggiare in prima classe.
A volte, addirittura, non c’è metodo migliore del treno per vedere e vivere certi luoghi liguri: i binari, spesso, sono appesi ai faraglioni e offrono scenari straordinari oppure sono umidi di salmastro e creme solari tanto corrono vicini agli stabilimenti balneari, o, ancora, arrivano nei pressi di palazzi antichi, come a Genova o a muretti, piazzette e luoghi dei Vip come ad Alassio, Portofino, Sanremo.
La Liguria è un’idea come un’altra, basta prendere il treno giusto: non ci sono pianure sconfinate da percorrere a forza di cavalli vapore bensì dislivelli, colline, montagne da superare con tanta fatica o con la giusta dose di intelligenza. Così, se volete percorrere la Liguria in orizzontale, andate in una qualsiasi delle stazioni FF.SS. e fate il biglietto. Ma si può fare anche nell’altra direzione, in verticale, come alle Cinque Terre. All’estremo lembo orientale della Liguria ci sono treni he possono portarvi dal mare alle stelle (o viceversa) in un attimo. Certo, non sono proprio treni “normali”: non fischiano, non tagliano passaggi a livello e non corrono in galleria. Non sono mai in ritardo e per prenderli non si va neppure in stazione. In comune con gli altri treni liguri hanno le rotaie, anche se ce n’è una sola. (Beh, e poi, anche loro non fermano a Vesima, Pontetto e Mulinetti*). Sono treni coi trampoli: non viaggiano su infinite traversine orizzontali bensì sono sospesi su tralicci infissi nel terreno e sembrano volare, fatui e leggeri, sulle vigne di Sciacchetrà.
[* Tre famose stazioni liguri in cui i treni non fermano mai]
I trenini delle Cinque Terre sono un po’ l’essenza stessa del treno: non hanno una vera stazione, né una vera destinazione, non vanno da nessuna parte, il loro è un ciuf ciuf di pura bellezza. A meno che non siate un viticoltore di Corniglia e allora per voi i sono più importanti della Transiberiana.
Quando, nel 1979 nei dintorni di Volastra, vicino a Manarola, grazie ai i fondi del PSR vennero istallati i primi treni monorotaia, qualcuno deve essersi stropicciato gli occhi: finalmente si potevano trasportare chili e chili d’uva o di attrezzi e strumenti agricoli senza fare un’immane fatica da Sisifo. Il loro arrivo ha trasformato la viticoltura da queste parti: fino ad allora tutte le operazioni, compresa la vendemmia, erano svolte a mano, a spalla, con grande dispendio di tempo ed energia.
I trenini sono gestiti dalla Cooperativa Agricoltura delle Cinque Terre, che coordina un comprensorio di circa 46 ettari distribuito su 15 km di costa. Produce circa 200 mila bottiglie l’anno di cui 100 mila del Doc base e l’altra metà delle sottozone, tra cui il Cinque Terre Doc bianco e lo Sciacchetrà, il passito re dei vini di queste parti. La cooperativa è composta da 189 soci. La loro età media, 79 anni, la dice lunga sull’importanza dei trenini. I soci ne chiedono l’uso quando ne hanno bisogno, soprattutto durante la vendemmia, ma anche per le attività di potatura, concimatura o tutte le altre attività agricole durante il corso dell’anno.
Ma i trenini chi li guida?
Ecco. Qui viene il bello. Si sale in carrozza! Grazie alla cooperativa incontriamo Sauro, il “Ferroviere dello Sciacchetrà“. Sauro è il tipico tuttofare, la figura del ligure di una volta. Sa fare tutto: è elettricista, perché ha lavorato anni in una centrale dell’Enel; è un ottimo meccanico perché ha passione per i motori e la tecnica; è un bravo falegname e, soprattutto, un contadino anche lui, ha la sua vigna da mantenere. Sulla sua auto, una Panda un po’ scalcagnata con cui gira per le Cinque Terre, c’è un po’ di tutto: chiavi, bulloni, attrezzi, paranchi, taniche, zappe, forbici per potatura e latte d‘olio motore. Parla poco, osserva molto.
Come tutti i contadini, da queste parti, si mimetizza con queste colline, è riservato e discreto, ci tiene a non comparire da nessuna parte. Infatti, sui social e sul web, di lui non troverete nulla, nessun accenno, nemmeno un’intervista. Ma il suo lavoro è fondamentale: è lui che si occupa della manutenzione dei trenini.
Quando non vengono usati, i trenini giacciono ai bordi delle statali, ricoperti da guscio di lamiera che li fa sembrare lumache addormentate. Questo per proteggerli dalle intemperie e dai malintenzionati.
E su un solo binario sta la mini-locomotiva quando Sauro comincia a raccontare:
“Questo è un trenino svizzero fabbricato dalla Monrail. Sono macchine straordinarie: sappiamo che non c’è nessuno come gli svizzeri per i trenini e il cioccolato. È dotato di un motore a benzina a 4 tempi, 240 cc di cilindrata, della potenza di nove cavalli. Serve per salire ma anche per scendere: in discesa funziona da freno motore. Ha due marce non sincronizzate, una avanti e una indietro. C’è poi una leva che serve per dare marcia/arresto. È dotato di freni di sicurezza: sotto alla motrice e sotto all’ultimo carrello ci sono delle “castagne”, freni centrifughi che intervengono se il trenino dovesse avere problemi.”
Sauro ci fa una lezione di ingegneria dei trasporti in cinque minuti. Come tutte le grandi invenzioni, bastano poche parole per descriverle. Ancora meno ne servono per partire: “Tenetevi”, dice, e si va.
Immediatamente ci si sente attaccati a questa terra come da nessun’altra parte al mondo: un po’ per la bellezza, perché attraversando fronde di ginestra, rami d’ulivo e il giallo dei limoni, il mare si avvicina sempre di più come in un tuffo al rallentatore. Un po’ perché scendendo così, lenti lenti, da colline con una pendenza che supera il 45%, la forza di gravità ti schiaccia sul cassone del treno e muoversi è difficile. Sembra d’essere su un pianeta alieno.
“Questi sono trenini fatti per portare casse d’uva non per le persone – mi dice Sauro, che s’accorge che sto lottando contro le leggi della fisica – usiamo i carrelli a seconda della pendenza e del carico: se la pendenza è molta, tendiamo a metterne uno solo. Il grande pregio della monorotaia è che, rispetto a una funivia, che può caricare solo in cima o in fondo, qui ci si può fermare e caricare dove serve, quindi basta portare nelle vicinanze le ceste e le corbe d’uva e il carico si può fare subito. Questa è una discesa tra le più semplici”. Sotto di noi scorrono vigneti di Bosco, Albarola e Vermentino.
Oggi i trenini vengono usati solo per la vendemmia, ma il Parco Nazionale delle Cinque Terre sta progettando la creazione di nuovi impianti a cremagliera a monorotaia a propulsione elettrica destinate al trasporto di materiali, ma anche di passeggeri, con il duplice obiettivo di valorizzare in chiave agricola e di fruizione turistica* zone di pregio paesaggistico, ambientale e sociale, caratterizzate da particolare acclività: la Collina dei Cappuccini* e in Località Maggiola/Buranco a Monterosso al Mare; la marina di Corniglia*; località Montenero*, Bargone a Riomaggiore; Località Fossola e Monesteroli alla Spezia. (con * quelle destinate al turismo).
Come vengono installate le rotaie?
“La monorotaia segue il pendio della collina: viene fissata con un palo ogni tre metri con tubi da un pollice che vengono calati fino ad incontrare la roccia e poi in base all’altezza rispetto al suolo viene collegato il binario con dei rinvii. Posare la monorotaia non è poi complicato: serve un battipalo e una piegatrice per i binari”. Sauro la fa facile, ma questa sembra davvero l’infrastruttura perfetta: utile all’uomo e con impatto nullo, una fusione completa con l’ambiente. Come tutto da queste parti.
La discesa prosegue. Il motore scoppietta: come un paracadute, sta soltanto frenando la nostra discesa. Dal trenino tutto sembra ancora più appeso alla terra. Sulla destra, in basso, aggrappata come può agli scogli, compare Corniglia. A sinistra, se non è già franata in mare, dovrebbe esserci Manarola. La discesa si calma, la pendenza cala. Ci fermiamo. C’è uno scambio.
Uno scambio? Ma allora è proprio come sulla ferrovia!
“Sì. Solo che qui il cambio non è automatico… Siamo a Porciana e qui c’è una Y: un braccio va a Porciana Fonte e l’altro a Porciana Campi – Sauro fa un po’ le parti della voce della stazione Genova Principe. Però aggiunge – Dobbiamo fermarci e scendere perché il cambio era impostato per andare alla Fonte, in direzione Vernazza mentre noi dobbiamo andare verso Manarola”.
I cambi dei trenini farebbero impazzire di gioia qualsiasi appassionato di trenini Lima: bisogna fermare il treno, scendere con una chiave da 20, smontare i due perni del binario, ribaltarlo e riavvitarlo prima di ripartire. Sauro sbriga tutto in cinque minuti e il nostro viaggio può proseguire.
C’è di nuovo un tuffo al cuore: dietro un alberello la monorotaia curva, ma verso il basso. Lo zaino ti preme sulla schiena, qualcosa ti dice che stai per cadere in mare e cominci a pensare che devi cominciare ad arrotolarti i pantaloni per non inzupparli. Ma il fedele motore non molla, scoppietta tranquillo, a lui affidiamo la nostra salvezza. Poi si gira a destra, c’è l’ultimo tratto di ferrovia, il binario si ferma proprio sopra Corniglia. Ma per arrivare in paese ci sarebbe da scapicollarsi ancora tra vigne e muretti a secco.
Ora s’intuisce ancora meglio come il sistema dei trenini sia prezioso per le Cinque Terre: è una frontiera all’abbandono dei terreni e aiuta a mantenere sano il territorio. Qui si hanno ottimi strumenti per tutto ciò che è straordinario: coltivare praticamente senza irrigare, stendere chilometri di muri a secco, trasportare chili d’uva su dislivelli ciclopici. Una verticalità così non richiede solo prestazioni eroiche, ma una manutenzione ordinaria, quotidiana: sistemare la vigna dopo un temporale, ripristinare un sentiero, riparare i danni dei cinghiali… ogni giorno c’è qualcosa da fare.
“La campagna da queste parti fino a qualche anno fa l’hanno mantenuta sempre le donne e i vecchi – dice Sauro – perché gli uomini lavoravano in fabbrica. La vendemmia poi si faceva tutti insieme: la differenza è che gli uomini portavano le corbe in spalla e le donne portavano i carichi sulla testa con la paniera. Le corbe sono grandi ceste di legno intrecciato che un tempo venivano fatte in Val di Vara con fasci di castagno tagliati con la luna buona e piegati mettendoli in acqua: il risultato erano ceste molto robuste che duravano anni. Con l’avvento dei trenini si è cominciato ad usare cestoni di plastica perché si impilano meglio: la corba, un po’ panciuta com’è, avrebbe dato problemi di stabilità… io ne ho ancora parecchie, sono le stesse dei miei vecchi, avranno 70 anni e funzionano ancora benissimo. Anche perché, ironia della sorte, la mia vigna è una di quelle ancora non servite dai trenini…”.
Le viti a pergola
Sauro, come hai imparato a guidare il treno?
“Lavoravo in una centrale termoelettrica. Quando sono andato in pensione, Matteo Bonanini, il presidente della Cooperativa, mi ha chiesto se potevo lavorare con lui. Per me è una passione, non ho potuto dire di no… e così ho imparato a fare il ferroviere delle vigne”.
Ma guidare il trenino, è abbastanza semplice, la parte complessa è la manutenzione. Nessuno può farla meglio di Sauro: conosce ogni meccanismo, ogni ingranaggio, ogni vite di questi trenini e quando c’è bisogno corre subito sul luogo, ready in five, pronto in cinque minuti, come una squadra di pompieri di Los Angeles:
“A loro modo questi treni sono eterni, costruiti per durare. Basta saperli usare bene. Il cambio non è sincronizzato e va usato con cognizione, altrimenti è facile che si rompa. Purtroppo, proprio poiché sono in molti ad usarli, capita che qualcuno commetta errori o non rispetti le regole base della meccanica.”
Sauro riceve telefonate a qualunque ora da contadini disperati: “Aiuto! Mi si è bloccato il trenino, cosa devo fare?…”. E lui corre ad aiutarli. Anzi, appena finiamo l’intervista andrà a trascinare giù un trenino cui si è rotto il riduttore.
Ecco, questa è proprio quella che chiamano viticoltura eroica. Quando c’è da guidare un trenino senza riduttore e senza freni su una collina a 60 gradi di pendenza. In quei momenti qualcuno alle Cinque Terre mormora: “Questo è un lavoro per Sauro”. E lui entra in una cabina del telefono e si trasforma nel Ferroviere dello Sciacchetrà.