Da 70 anni giace in fondo al mare di San Fruttuoso di Camogli. Ecco chi si prende cura di lui
Settanta anni nel blu. Oltre mezzo secolo immerso nel silenzio profondo del mare.
Il Cristo degli Abissi è lì, davanti all’Abbazia di San Fruttuoso di Camogli, dal 1954, a 17 metri di profondità, simbolo di pace e memoria di chi ha perso la vita in mare nell’ultimo conflitto mondiale. Tranne d’estate, riceve poche visite umane: ogni tanto passano i delfini del Santuario dei cetacei; tra le sue braccia aperte al cielo, le acciughe fanno il pallone. Più di tutti lo amano le alghe. La statua, famosa in tutto il mondo, si ricopre ogni anno di una patina di alghe, spugne e molluschi. Le diatomee gli punteggiano il volto come lentiggini.
Ma c’è chi va periodicamente a trovarlo, a vedere come sta. A dire la verità, nonostante qualche acciacco, il Cristo degli abissi porta meravigliosamente i suoi anni. Se, però, continuerà ancora per molto ad emozionare sub, canoisti, nuotatori e “snorkelers” – liguri e di tutto il mondo – e aprirà ancora le sue braccia per accogliere e proteggere tutti i visitatori del mare, questo lo si deve soprattutto ad Alessandra Cabella, letteralmente il l’angelo custode del Cristo degli Abissi, dato che ogni anno raduna una squadra di sommozzatori e organizza un intervento di manutenzione.
Alessandra Cabella lavora per la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Genova e, tra gli altri suoi compiti, si occupa del Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea. È lei l’animatore dell’intervento che, ogni anno a inizio estate, raduna i Sommozzatori dei Carabinieri, della Polizia di Stato (CNeS), della Guardia di Finanza e del Gruppo Operativo Subacquei del Comando Subacquei Incursori della Marina Militare (GOS del COMSUBIN) o quelli della Guardia Costiera e dei Vigili del Fuoco. L’operazione, che avviene col supporto logistico della Guardia Costiera (Comando Circomare di Santa Margherita Ligure), è necessaria per ripulire la statua del Cristo dai microrganismi e le incrostazioni che inevitabilmente si formano sul fondo del mare ed evitare restauri più complessi.
Alessandra, cosa significa immergersi per prendersi cura del Cristo degli Abissi?
“È un momento importante, oltre che un’emozione grandissima. Si tratta di un’immersione semplice, senza grandi difficoltà tecniche e che tutti possono fare. Addirittura, gli apneisti più bravi arrivano a toccare le sue mani a 15 m di profondità e, quando le condizioni marine sono buone, si può vederlo anche dalla superficie con una barca o un kayak. C’è anche un vecchio pescatore della zona che sa benissimo dove si trova la statua e porta la gente a vederla.
Per noi sub, però, questo nel tempo è diventato un appuntamento fisso, un sereno momento di incontro, di respiro per chi di solito è abituato a lavorare in condizioni di emergenza o in tragedie. Una volta l’anno ci immergiamo e andiamo a trovare il Cristo degli abissi. L’anno scorso a causa del Covid avevamo saltato e quindi l’appuntamento del 14 settembre è stato ancora più bello”.
Di cosa soffre il Cristo degli Abissi? Cosa si può trovare su una statua che sta sul fondo del mare da più di sessant’anni?
“Il Cristo degli Abissi è una statua in bronzo calata nel mare di San Fruttuoso nel “lontano” 1954. È normale dunque che abbia bisogno di una manutenzione periodica. Ma è anche una statua fragile, che va curata con attenzione. Solo negli ultimi tempi si è capito come eseguire la manutenzione senza danneggiarla. Per quasi cinquant’anni si andava giù muniti di spazzole di ferro che apportavano più danni che benefici, creando dei microsolchi in cui si insediano i microrganismi marini.
Oggi noi togliamo il “biofouling” composto soprattutto da spugne e vari tipi di alghe, denti di cane, briozoi incrostanti che colonizzano il bronzo. Per farlo utilizziamo una idropulitrice, che lavora utilizzando un flusso d’acqua in pressione con effetto cavitazionale, generato da una lancia alimentata da una pompa in superficie. Questo sistema venne studiato dai Vigili del Fuoco che modificarono appositamente una lancia progettata per spegnere gli incendi. Quest’anno abbiamo usato l’idropulitrice della Guardia di Finanza”.
“Bisogna anche considerare anche come fu realizzata la statua. Nella fusione vennero utilizzate medaglie dei caduti in mare, elementi navali, addirittura eliche di sommergibili americani donati dall’U.S. Navy e campane. Ne venne fuori un bronzo morbido con bassa percentuale di rame, minerale che contribuisce a tenere lontani i microrganismi e quindi facilmente attaccabile. Inoltre la statua era cava e tendeva a galleggiare: per stabilizzarla e ancorarla venne usato del calcestruzzo, che però è costituito di tondini di ferro e provoca correnti galvaniche che rendono ancor più fragile il metallo”.
Il Cristo degli abissi riemerse in superficie nel luglio 2003, per il cinquantesimo anniversario della sua posa in mare e venne sottoposto ad un delicato intervento di restauro. Gli venne, ad esempio, riapplicata una mano, amputata probabilmente a causa di un ancoraggio clandestino (la zona è parte dell’Area naturale marina protetta di Portofino, esiste una boa apposita per chi vuole stazionare) e poi sostituito il basamento, affetto da problemi di staticità, con quello attuale, di tipo spiraliforme, ispirato alla conchiglia Nautilus.
“La passione per le immersioni – racconta Alessandra – l’ho scoperta proprio grazie al Cristo degli abissi. Nel 2003 la sua tutela è stata affidata alla Soprintendenza di Genova e quindi ho dovuto imparare ad immergermi e via via ho conseguito i vari brevetti, ora sono Divemaster”. Oltre al silenzio degli abissi, Alessandra coltiva anche un’altra sua grande passione, il suo eteronimo musicale: è la voce dei Jazz&Saudade Experience, noto ensemble jazz di musica brasiliana e lusofona.
Curare il Cristo degli Abissi è un po’ come curare il mare della Liguria. Oltre ad essere il punto che registra il maggior numero di immersioni nel Mediterraneo, il Cristo degli Abissi ha oggi un grande valore simbolico: conservare la memoria di chi morì in mare.
“Lo sculture che realizzò il Cristo, Guido Galletti, era di stile verista – dice Alessandra – realizzò una figura di uomo con le braccia aperte in segno di pace, accogliente, riconciliante, forse ispirato dalla vicenda dell’amico Dario Gonzatti, perito in quelle acque.
Quando venne posato, nel 1954, quella dei caduti era ancora una ferita lacerante, uno squarcio vivo nei cuori di tante famiglie. Come donna, mentre mi immergo con le squadre dei sommozzatori penso alle mamme, mogli, sorelle, figlie che donarono le medaglie dei loro caduti. Per noi sub, è un momento di pace in cui ci scopriamo un valore che ci accomuna.”