Ad Albisola a caccia del vento
Chi ama il windsurf ha mille modi di chiamare il vento. C’è quello che va bene per le andature più o meno tranquille (bolina, traverso, lasco, poppa), quello che solleva la tavola e ti sputa via negli slalom, quello che polverizza l’acqua. Ma ad Albisola, il vento del windsurf ha un nome solo: “Mirage”. Il Mirage Windsurfin Club di Albisola, uno dei windsurf club più antichi in Italia, nato nel 1981, ha recentemente compiuto 40 anni di vita e si appresta a festeggiare l’evento con una festa come si deve e, per l’occasione, pubblicherà un libro di memorie sui suoi primi 40 anni (1981 – 2021). Il Mirage fu creato il 9 aprile 1981 da Mauro Granone e Bruno Grigolin, Daniela Milani e Rita Frati. Un’idea che già di partenza ha dentro un po’ di follia, come dice lo stesso Granone: “se dobbiamo scendere un grattacielo in fiamme, buttiamoci giù e mentre scendiamo costruiamo il paracadute”, ma in realtà è soprattutto la storia di una passione e di una amicizia. Del resto, lo stesso windsurf nacque ufficialmente nel 1967 da un’idea folle di un ingegnere aerospaziale californiano, James (Jim) R. Drake che, sull’autostrada nei dintorni di Los Angeles, pensò di poter continuare a fare surf anche senza le onde, utilizzando una vela collegata alla tavola. Nel 1981, quando nacque il Mirage, le tavole non erano molto diverse, bisognava possedere la giusta dose di follia per sfidare il mare e il vento con quei trabiccoli. Per la Giornata Mondiale del Vento, a giugno, abbiamo intervistato quelli del Mirage. Mauro Granone e Tullio Mazzotti ci hanno raccontano come nacque il club: “Tutto nacque una sera – racconta Granone – quando Bruno Grigolin citofona all’ora di cena: tornando da uno dei suoi viaggi sul lago di Garda, sua terra nativa, aveva acquistato per mio conto, ma senza dirmi nulla, una tavola da windsurf. Nell’atrio del palazzo, vedo Grigolin con un imballo lungo quattro metri e un altro imballo di un specie di tubo altrettanto lungo. Mi devi 500.000 lire, va bene? Ricordo chela tavola si chiamava Klepper. Mi raccontò che era stato a Torbole e che aveva conosciuto delle persone che andavano su quegli strani attrezzi e veleggiavano avanti indietro, alcuni saltavano addirittura. Diceva che era lo sport del futuro e bisognava lanciarsi in questa avventura. Ok va bene, gli dissi, lanciamoci, domani andiamo a spiaggia e proviamo. Intanto, montando il windsurf in salotto avevamo sfasciato un portalampada, un tavolino e due soprammobili…” “Ed era davvero un’impresa non da poco stare su quelle “tavole da stiro” – come le definisce Tullio Mazzotti presidente del club – in plastica bianca, lunghe quattro metri. Ma erano i primi surf ad Albisola e lui ed altri che oggi sono i “veterani” del club, ne erano attirati, le guardavano come belle ragazze. “Il primo windsurf lo acquistai ai Bagni Sirio di Spotorno, da un ragazzo che aveva capacità certe di imbonitore da mercato turco – racconta Mazzotti – Era un “Luna”, in polietilene. Andai a comprarlo con Paolo Prefumo, mio compagno di sci e amico. Ma mi accorsi subito che lo scoop (la curvatura nella prua dello scafo rispetto al centro della tavola) era bizzarra, esattamente alla rovescia. Esponemmo le nostre perplessità a venditore, ma il “turco” di rassicurò. Ci fece notare che sulla tavola “abbananata” alla rovescia vi erano anche gli attacchi per le straps. Ma noi senza esitazione affermammo che noi, quelle, non le avremmo mai usate, che erano solo moda Hawaiana… Il primo tentativo di uscita in mare fu disgustoso. Spesso le donne che sono innamorate non lo fanno vedere: bene, se il windsurf aveva una simpatia per noi non lo fece trasparire. Spiaggia, montaggio, salita, recupero vela, partenza, inabissamento stile Titanic, fu la sequenza in ordine. La curvatura della tavola, esattamente alla rovescia di come avrebbe dovuto essere, la fece inabissare. Per fortuna poi mi recai dal figlio del capo tribù locale, Ezio Rebagliati, che mi dette i consigli giusti su come modificare e “abbananare” la tavola secondo la giusta curvatura, usando un cric da camion e vecchi asciugamani intrisi d’acqua bollente.” Ma poi, provando e riprovando, arrivò anche il “mestiere” del windsurf e proprio ad Albisola nacque il Mirage Club, tra i Bagni Sport e la Piscina Aurelia gestita dalla famiglia Rebagliati, tutti “surferi” novelli. “Non c’era nessuna differenza tra noi, solo la voglia di scivolare tra le onde. Superare le raffiche, eseguire le manovre più audaci, non era importante se si cadeva. L’importante era rialzarsi, tornare a riva e aiutare gli altri” Mauro Granone Come tutti i racconti di mare, anche quelli di windsurf sono affascinanti, resteresti ore a leggerli e giorni ad ascoltarli. Col mare si fa amicizia, si lotta, si ama, si rischia. Servono strumenti adatti, ci si costruiscono le tavole, si usano le mute per proteggersi dal freddo: “Avevamo comprato una muta intera da windsurf, salopette e giubbetto, così ce l’hanno venduta, ma una volta bagnata faceva salire il peso della persona del dieci per cento e strizzava i muscoli per lo sforzo e non faceva respirare. “A novembre 1979 io e fratello affrontiamo la prima grossa mareggiata di libeccio – continua Rebagliati – Siamo gli unici in mare, per forza eravamo gli unici surfer del litorale, entriamo a turno, portando a nuoto tavola e vela al largo fuori dai frangenti, quando saliamo dobbiamo tenere il piede d’albero con la caviglia perché non scappi e per non scivolare. Alcuni vecchi albissolesi si allarmano, e ci tengono d’occhio dalla passeggiata” “Era il vento a condizionare le nostre scelte – dice Mauro Granone – Il vento condizionava tutte le nostre giornate, era l’unica legge sopra tutte le altre. Lavoravamo tutti come matti nelle nostre attività, ma si abbandonava un cliente, un colloquio, un appuntamento, se c’era vento. Ci chiamava l’ululato della tramontana. Allora i sistemi di rilevamento del vento erano molto empirici e geniali… Ognuno aveva il suo lavoro e non sempre il vento era disponibile nel nostro tempo libero e quindi era il vento a decidere gli orari di lavoro. Da posti diversi, vestiti in modo diverso, arrivavamo in spiaggia. Io arrivavo con giacca e cravatta , lanciavo la diplomatica dalla passeggiata e via in mare con gli amici. Non c’era nessuna differenza tra noi, solo la voglia di scivolare tra le onde. Superare le raffiche, eseguire le manovre più audaci, non era importante se si cadeva. L’importante era rialzarsi, tornare a riva e aiutare gli altri.” Ma l’assenza del vento è forse più pericolosa, ne possono nascere liti furibonde oppure idee pazze, risorgimenti, atti anarchici, come per il cartello sul windsurf “rubato” a Hyeres o durante i lavori per la gestione della piscina Aurelia, un progetto “puro e folle”, ma che garantì un futuro per il windsurf di Albisola e le sua attività turistiche. Piscina che, in un luogo come Albisola, non poteva che entrare addirittura nei cataloghi di arte contemporanea, come racconta Tullio Mazzotti: “Ristrutturata la piscina pensammo di abbellirla con un lungo pannello in ceramica realizzato in piastrelle cotte a gran fuoco, decorate da molti artisti. Milena Milani ne “Un tuffo nell’arte”, il catalogo dell’allestimento nel 1987 definì la nostra piscina “Un’oasi, un fresco approdo soprattutto per la giovinezza trionfante”. “Non si usava trapezio, quindi gli avambracci gonfiavano fino a diventare come quelli di Braccio di Ferro e l’uso completo delle mani tornava solo alla sera…” Massimo Rebagliati “Siamo tutti campioni in qualcosa, ma Matteo Iachino, classe 1989, surfer albisolese nato al Gruppo Vela di Albisola, è stato campione europeo di slalom nel 2012 e tre volte Campione Nazionale. Si è laureato campione mondiale di Slalom Windsurfing nel 2016. Iniziò col windsurf a 10 anni aiutato dal padre ma solo a 16 anni gareggia per la prima volta. Da lì inizia una scalata che lo porterà ad essere campione italiano ed europeo. Nel 2016, dopo un’escalation di risultati e tre anni nella top 10 di coppa del mondo, riesce a conquistare il titolo mondiale e diventa il primo italiano a vincere una Coppa del Mondo nel windsurf.” “Sicuramente il 30 aprile 2018, quando due dei nostri veterani hanno stupito il mondo del winsurf. Gino Bruzzone ha deciso di festeggiare i suoi ottant’anni affrontando una delle mareggiate più serie che hanno colpito il savonese, assieme all’amico Clemente Pallini, che all’epoca di primavere ne aveva 81. Volarono su raffiche che arrivavano ai 40 nodi, mentre dalla spiaggia amici, familiari e “surferi” più giovani morivano d’invidia e di paura.” “E poi ci sono pranzi da record, come il 20 luglio 1996 quando con un pentola per la cottura di trecentouno chilogrammi di pasta, Mirage conquistò il primato mondiale registrato sul Guinness Book of Records con la spaghettata (gratuita) più grande del mondo mai realizzata. Una pentola lunga 6 metri, larga e alta mezzo metro, con diciotto scolapasta da due chilogrammi cadauno e una potenza di fuoco con dodici cuochi ai fornelli per turnarsi.” Il Mirage compie 40 anni e non li dimostra, Alberto Canepari, presidente del club nel 2004 è sicuro che arriverà certamente a 50, forse 60. “Al nucleo storico si affiancano nuove energie. Molti di noi su quel pezzo di spiaggia, su quel mare, hanno imparato ad andare in windsurf o almeno ci hanno provato, hanno stretto amicizie nuove e durature, hanno amato, hanno odiato, hanno riso a più non posso, si sono incazzati. Hanno imparato che c’è un solo modo per sentirsi veramente liberi: infrangere qualche volta le regole.”
Proprio ad Albisola, proprio nella città della ceramica, a metà fra Varazze e Savona, note oggi anche per essere spot per i surfers d’onda. Da allora cominciano le avventure, le indianate, le birre, le cene, le trasferte per cercare le insenature e le spiagge migliori in giro per il Mediterraneo, da Porto Pollo in Sardegna, a Hyeres, alla Camargue, fino all’Atlantico.
Anche le prime regate.
Mauro Granone: “Sì, dal 1981 a 1983, con Sergio Cola, Bruno Grigolin, Sergio Patelli e Carla Patelli ci siamo cimentati nell’avventurosa battaglia delle regate veliche. Le tavole, allora, erano a volumi gareggiavamo su dei Fantom o sui dei Tornado fra i 300 e i 350 litri di volume, vele da regata di 6 metri, boma lungo. Una guerra ogni volta che il vento superava i 12/15 nodi. Il più forte, a quell’epoca, era Benny Bozzano e De Pedrini, poco più di uno scricciolo, già raggiungeva i primi posti. A quell’epoca Grigolin, Canepari ed io eravamo reduci dal corso istruttori del leggendario Capra, pietra miliare del surf. Ricordo con grande passione quei momenti, e con un po’ di rimpianto”.
Le tavole Mares di vetroresina erano le migliori, ma il peso era sempre sopra i ventitre chili, coi boma rivestiti con nastro autoagglomerante per garantirne la presa ma ancora lunghi due metri e quaranta; le vele erano sempre intorno ai cinque metri quadri e mezzo, i piedi d’albero non erano composti dallo snodo in gomma, ma da un giunto cardanico, molto funzionale e robusto ma capace di infliggere importanti ferite – scrive Massimo Rebagliati – non si usava trapezio, quindi gli avambracci gonfiavano fino a diventare come quelli di Braccio di Ferro e l’uso completo delle mani tornava solo alla sera…”.Racconti eroici come quelli delle mareggiate:
E il Vento?
Sono nati anche campioni al Mirage?
Qual è stata per voi una vera giornata da leoni?