Camilla Moroni: una scalata verso la gloria olimpica
Dopo lo straordinario argento ai Mondiali di Russia nel 2021, l’esplosiva Camilla Moroni è pronta ad una nuova e prestigiosa scalata: quella verso il podio ai Giochi Olimpici di Parigi 2024
Predisposizione al duro lavoro, forza di volontà e capacità di imparare dai momenti difficili non sono caratteristiche scontate per un atleta, e non solo. Spesso infatti gli ostacoli e le sfide più grandi rischiano di spaventare uno sportivo, soprattutto all’inizio del percorso. Con una maturità fuori dal comune, la talentuosa classe 2001 di Mignanego ha invece dato dimostrazione di essere già un’atleta ben strutturata ed esperta nonostante la giovane età, rispecchiando con la sua mentalità anche i valori e i principi promossi del suo gruppo sportivo di appartenenza: le Fiamme Oro.
Dalle prime arrampicate tra Finale Ligure e Albenga all’emozionante podio al termine della prima tappa del circuito di Coppa del Mondo in Estremo Oriente, questa straordinaria atleta è quindi pronta a scrivere una nuova importante pagina dello sport genovese, ligure e italiano, affrontando le prossime sfide all’ombra della Tour Eiffel con l’entusiasmo delle prime volte.
Cosa rappresenta per te questo debutto olimpico?
Sono molto emozionata all’idea di partecipare alle Olimpiadi ma, allo stesso tempo, mi sento più rilassata di prima perché la parte più difficile è stata proprio la fase di qualificazione. Ho iniziato a sognare questo momento da quando l’arrampicata è stata inserita tra le discipline olimpiche. All’inizio era compresa in una combinata di tre discipline, di certo non la situazione ideale per me, mentre adesso la combinata ne comprende fortunatamente solo due. Strappare un pass per Parigi è stata quindi una sfida per me e per il mio allenatore perché, essendo specialista in una delle due discipline, ho dovuto allenarmi per entrambe tenendo conto delle diverse tecniche e caratteristiche.
Una prevede infatti una maggiore resistenza mentre l’altra è caratterizzata da forza, esplosività e tecnica; quindi, è stato necessario trovare il giusto equilibrio negli allenamenti per sfruttare al meglio le mie caratteristiche e conservare alcune mie peculiarità. Allenando tanto la resistenza si rischia ad esempio di perdere un po’ di forza, che è il mio punto forte. Per questo è stato un percorso lungo iniziato più o meno tre anni fa, con nuove sperimentazioni fatte di anno in anno per trovare il miglior metodo di allenamento possibile. Diciamo che la maggior parte degli atleti si son trovati nella mia situazione, dovendosi adattare anche ad una disciplina che ancora non padroneggiavano appieno da specialisti.
Hai mai affrontato un momento particolarmente difficile durante la preparazione per le Olimpiadi? Se si, come sei riuscita a superarlo?
Il momento più difficile di tutti è stato l’anno scorso, perché ho faticato durante l’intera stagione a causa di alcune scelte sbagliate. La Nazionale ci dava l’opportunità di allenarci e vivere nel centro della pallavolo di Milano, una soluzione temporanea in attesa della realizzazione di una nuova struttura in Trentino. Non essendoci appartamenti indipendenti ma solo camere condivise e una mensa comune, finivo per allenarmi tutto il giorno senza riuscire a fare altro. All’inizio ero felice e pronta a superare i miei limiti ma alla lunga questa situazione è stata logorante. Un altro problema era la lontananza da mio padre che vive a Genova. Essendo sempre stato il mio allenatore pur facendo un altro mestiere è infatti una persona fondamentale per me sotto molteplici aspetti, da quello umano a quello sportivo.
Pur conoscendomi bene, anche lui faceva difficoltà a capire la mia condizione fisica e l’andamento degli allenamenti a causa della distanza, non riuscendo quindi a darmi quel parere che mi ha sempre aiutato. Pur essendo una persona molto oggettiva non riuscivo quindi ad esserlo al 100%, arrivando a stancarmi sia fisicamente sia mentalmente e soffrendo anche di una serie di complicanze durante la stagione. Mi ammalavo infatti spesso e faticavo in gara a causa della stanchezza, per cui quest’anno ho deciso di rimanere a Genova e guidare fino a Milano 2 o 3 volte a settimana. Per quanto anche questa soluzione non sia particolarmente rilassante, ho deciso di tenere duro in prospettiva di un trasferimento ad Arco, una località in provincia di Trento in cui stanno appunto costruendo un nuovo centro federale.
Come sei riuscita a trovare la quadra giusta nonostante le difficoltà?
In realtà non c’è stato un momento specifico ma ho capito piano piano quale fosse il problema, ovviamente discutendone con mio papà. La consapevolezza di dover tornare a casa l’ho poi maturata in autunno, tra settembre e ottobre, dopo essere rientrata a Milano al termine del periodo di pausa di fine estate. L’anno scorso è stato quindi quello più complicato in cui ho fatto tanta fatica anche mentalmente, mentre il 2024 è stato decisamente migliore nonostante la pressione legata ai risultati e alle competizioni sportive. Comunque sia, sono felice che sia successo un anno fa e non adesso e sono grata per quanto ho appreso sull’allenamento e su me stessa.
Cosa vuol dire per te rappresentare l’Italia e la Liguria a livello internazionale?
Anche questa è stata una bella soddisfazione! Abito vicino Genova e conosco bene la città, per cui rappresentarla è motivo di grande orgoglio. Per quanto riguarda l’arrampicata outdoor ho iniziato proprio qui in Liguria, tra Finale Ligure e Albenga, grazie alla passione dei miei genitori. Per questo, poter gareggiare alle Olimpiadi anche per la mia regione è una bella soddisfazione e una grande responsabilità. Spero infatti di riuscire a dare un po’ di speranza a tutti gli altri arrampicatori che si allenano in Liguria nonostante non ci siano troppi impianti moderni e adatti per una crescita agonistica.
Il problema principale è infatti che la maggior parte delle strutture e delle attrezzature in regione, a partire dagli appigli, sono datate e non al passo con l’evoluzione dell’arrampicata sportiva. Negli ultimi anni, questa disciplina sta attirando un numero sempre maggiore di persone, soprattutto giovani che si riuniscono il sabato sera in quello che può essere considerato un luogo di aggregazione a tutti gli effetti, per cui è necessario offrire impianti moderni e all’avanguardia.
Secondo te, qual è l’aspetto più attrattivo di questo sport?
Secondo me l’arrampicata sportiva piace e attira perché offre, all’interno delle palestre, un’occasione unica di convivialità, incontro e sano confronto sportivo soprattutto a giovani e studenti.
Qual è stato il momento più bello della tua carriera finora?
Ti direi il mio primo podio internazionale ai Mondiali 2021 a Mosca. A ripensarci provo ancora un’emozione incredibile. Nel momento della premiazione non riuscivo infatti a realizzare cosa stesse succedendo, perché già essere arrivata in finale era un qualcosa di pazzesco per me… figuriamoci l’aver conquistato un posto sul podio! Comunque sia, ricordo di essermi divertita molto sia in semifinale sia nella fase finale, dando il massimo e godendomi appieno la gara senza pensare troppo al risultato. Per quanto sembri, soprattutto a occhi esterni, che divertirsi e ottenere dei risultati sportivi siano due cose separate, penso che in realtà sia più facile fare bene e dare il massimo se ci si diverte. Se poi questo massimo corrisponde ad un posto sul podio è naturalmente più soddisfacente, mentre se le due cose non combaciano ancora non resta che continuare a lavorare per centrare l’obiettivo alla prossima occasione.
Come riesci a divertirti e a mantenere questo entusiasmo in gara?
Non è facile in realtà. Ad esempio, alle gare di qualifica olimpica sono riuscita comunque a divertirmi sentendo però, come gli altri atleti, anche la pressione e la tensione legate a quella particolare sfida sportiva. Trattandosi di una qualificazione non potevo infatti lasciarmi scappare l’occasione di partecipare alle Olimpiadi, altrimenti avrei dovuto aspettare altri quattro anni prima di riprovarci. Per questo ti direi che è stata la gara mentalmente più difficile della mia carriera finora, anche perché prevedeva due impegni a distanza di un mese, per cui anche l’intermezzo si è rivelato decisamente provante. Ad ogni modo, ho compreso appieno quanta pressione avevamo addosso solo dopo aver terminato la gara e aver ritrovato la tranquillità.
Cosa ti aspetti da queste Olimpiadi?
Essendo un’atleta molto oggettiva non credo nei miracoli, per cui già arrivare in finale mi sembra un traguardo decisamente ambizioso che richiederà una prestazione praticamente perfetta. Il mio obiettivo è quindi arrivare al 100%, se non di più, e dare il massimo cercando di divertirmi e godermi appieno il momento. Ho sentito le storie di altri atleti che, a causa della pressione, non sono riusciti a farlo e per questo voglio costruirmi un bel ricordo dei Giochi Olimpici.
Se dovessi trovare tre aggettivi per descriverti, quali sceglieresti e perché?
Innanzitutto, ritengo di essere un’atleta oggettiva. Ti direi poi esplosiva, siccome l’esplosività è una delle mie caratteristiche atletiche principali che cerco sempre di esaltare, e determinata, perché soprattutto nell’ultimo anno sono cresciuta come atleta e come persona, imparando a capire come migliorare e diventare più forte. Per questo anche le mie ambizioni sono cresciute, spingendomi a studiare gli altri atleti e ad allenarmi con loro per prendere spunto e continuare a crescere.
Qual è invece un aspetto su cui devi lavorare ancora un po’?
Nell’arrampicata devo sicuramente continuare a lavorare sulla tecnica, perché ogni anno ci sono nuovi movimenti che vanno studiati e padroneggiati al meglio per performare in gara. Per quanto riguarda il mio punto debole, ti direi che qualche volta tendo ad essere un po’ scontrosa.
Hai un idolo o un esempio sportivo? Se si, cosa ti ha insegnato?
Il mio esempio sportivo è Jakob Schubert, un arrampicatore austriaco che ha conquistato il podio alle passate Olimpiadi e che ha strappato un pass anche per i Giochi Olimpici di quest’anno. Ciò che più mi colpisce di questo atleta è la sua capacità di prepararsi al meglio e di centrare i grandi eventi, a dimostrazione della sua grande “forza mentale”. Un altro aspetto che ammiro di Schubert è la sua determinazione a dare il massimo in ogni gara, un atteggiamento vincente in cui mi rispecchio abbastanza. Pur essendo convinta di non essere “così male” per quanto riguarda l’atteggiamento in gara, ambisco a raggiungere la sua forza per essere un’atleta ancor più completa.
Cosa consiglieresti ad un giovanissimo che si sta affacciando adesso al mondo dell’arrampicata e sogna di seguire il tuo esempio?
La prima cosa che gli direi è di andare in palestra e provare a fare nuove amicizie. Per quanto riguarda l’arrampicata in senso stretto, non trattandosi di una disciplina in cui prevale solo la forza ma che necessita anche di tanta tecnica, gli direi di non preoccuparsi del fisico, in quanto non serve necessariamente essere dotati di un corpo scolpito per farcela. Ognuno deve infatti scoprire e trovare il metodo migliore per salire sulla parete e arrivare fino in cima sfruttando al meglio le proprie caratteristiche fisiche.