Ludovica Cavalli: il diamante dell’atletica ligure vola alle Olimpiadi
Tra le debuttanti liguri più attese dei prossimi giochi Olimpici merita una menzione d’onore Ludovica Cavalli, diamante dell’atletica regionale e nazionale pronto a brillare davanti al mondo intero
Nonostante la giovane età, Ludovica Cavalli sta già dimostrando tutto il suo valore in pista e fuori. Dalle Olimpiadi in tv da piccola alla prima convocazione ai Giochi a 23 anni, la freccia azzurra genovese e dell’Aeronautica Militare è pronta a inseguire un podio olimpico con grande determinazione e umiltà. Dopo aver superato alcuni momenti particolarmente complicati e aver imparato ad accettare la sconfitta con maturità per poi ripartire con nuove motivazioni, questa incredibile atleta cresciuta sul campo di Villa Gentile a Genova ha già ispirato molte ragazze che hanno da poco intrapreso questo percorso sportivo.
Perchè se è vero che la gioventù è generalmente voglia di conquistare il mondo senza guardarsi troppo indietro, ciò che i giovani spesso non capiscono è che a lungo termine ciò che ti porta lontano è ricordare le proprie origini e contare su cari e familiari senza montarsi mai la testa. Da sempre supportata da mamma e papà, dai suoi tre fratelli e dagli affetti più stretti, il diamante dell’atletica ligure è appunto la dimostrazione di quanto sia importante, per un atleta e non solo, avere una famiglia alle spalle. A pochi giorni dall’inizio delle attesissime Olimpiadi di Parigi 2024, abbiamo avuto la fortuna e l’onore di intervistare questo astro nascente dello sport regionale e azzurro.
Cosa rappresenta per te debuttare alle Olimpiadi
La cosa che ho sempre detto, e che penso ti direbbe qualsiasi altro atleta, è che quando si inizia a fare uno sport si è abituati a guardare in tv gli altri atleti che gareggiano ai Giochi Olimpici. Personalmente ho sempre pensato alle Olimpiadi come un sogno fuori portata, così grande e quasi impossibile da realizzare. Per questo penso sia giusto fare tutto per step, partendo dai campionati locali e regionali fino ad arrivare ai Mondiali. Certo è che una volta arrivati allo step prima delle stesse Olimpiadi è difficile non iniziare a farci un pensierino. Detto ciò, finché non ho visto il mio nome sulla convocazione ufficiale non ci ho mai creduto fino in fondo.
Quando si è piccoli è un sogno così grande e, come ho raccontato in un post sul mio profilo Instagram, mio nonno mi aveva regalato una collanina con i cinque cerchi olimpici quando avevo quindici anni perchè desideravo un simbolo che rappresentasse l’atletica. Quel regalo, però, non l’ho mai indossato perché, trattandosi di un qualcosa di così importante, facevo davvero difficoltà ad immaginarmi una partecipazione alle Olimpiadi. Per questo si tratta “semplicemente” di un sogno che si avvera. Uso la parola “semplicemente” perché, anche se sembra una frase fatta, andare ai Giochi Olimpici è davvero il sogno più grande di ogni atleta e mi sento profondamente onorata di poter far parte di questa squadra e di indossare i colori dell’Italia in una rassegna così prestigiosa.
Qual è stata la prima persona a cui l’hai detto?
In realtà la possibilità di partecipare alle Olimpiadi era già nell’aria, per cui non è stata una vera e propria sorpresa. La convocazione ufficiale è poi arrivata su Instagram quando sono stati pubblicati i nomi degli atleti chiamati a rappresentare l’Italia a Parigi. Accanto a me c’era mio padre, che è molto più smart di me, tant’è che l’ha scoperto ancor prima che riuscissi a dirglielo io. Quindi la prima persona che ho chiamato è stata mia mamma. Forse è stata proprio lei quella che più di tutti in questi anni, senza mai sottopormi a troppe pressioni, si è seduta con me a tavolino nei momenti difficili, ascoltandomi e aiutandomi a superare ogni ostacolo. Per questo penso che se non fosse stato per lei non sarei diventata quella che sono oggi e non avrei raggiunto un obiettivo così importante.
Sono grata di avere dei genitori presenti, ovviamente senza troppe interferenze nella mia vita, che mi hanno sempre lasciato i miei spazi senza farmi mancare mai il loro supporto. In genere mio papà lasciava alla mamma il compito di parlarmi nei momenti più delicati, preferendo una presenza più silenziosa. Mia mamma è stata dunque la persona che in questi anni ha cercato sempre di tutelare Ludovica e per questo ho pensato fosse giusto chiamare proprio lei in un momento così importante. Oltre ad essere il mio sogno, questi Giochi Olimpici appartengono infatti anche a lei.
Oltre ai miei genitori ho anche tre fratelli maschi che hanno sempre creduto in me fin da quando ero piccola, uno più grande di un anno e due più piccoli, il primo di due anni e il secondo di sette anni. Pensa che qualche giorno fa proprio mio fratello maggiore mi ha fatto ascoltare un audio di uno dei suoi migliori amici. Nonostante la breve durata del messaggio e anche se non lo conoscevo bene, devo dirti che quelle parole mi hanno emozionata. Questo ragazzo diceva infatti a mio fratello che se sono arrivata fin qui è perché alle mie spalle ho sempre avuto una squadra molto forte su cui contare per qualsiasi cosa. E in tutta sincerità posso dirti che è vero! Penso che ogni atleta debba affrontare e superare momenti difficili e anche io ne ho passati tanti, riuscendo però ad andare avanti e a non mollare mai grazie al sostegno del vero e proprio esercito che mi accompagna fin da piccola.
Volevo chiederti quale fosse il tuo più grande sostenitore ma mi hai praticamente già risposto…
Eh si, ne ho tantissimi! L’unica cosa che vorrei aggiungere è che oltre a mia mamma, anche mio nonno merita una menzione d’onore. Ricordo di avergli fatto una promessa in ospedale poco prima che venisse a mancare, dicendogli che qualsiasi sarebbe stato il mio risultato lui sarebbe sempre rimasto con me. Lui è stato la persona che più di tutti mi ha supportato, in ogni decisione e avventura. Era infatti sempre dalla mia parte, anche quando iniziai a giocare a calcio prima dell’atletica, nonostante mamma e papà non fossero molto d’accordo. Mia mamma non veniva spesso a vedermi in campo, mentre mio nonno, che tra le altre cose amava il calcio in maniera spropositata, era sempre lì ad arbitrare le mie partite.
Mi ha seguito con entusiasmo anche quando ho deciso di fare atletica, incoraggiandomi in ogni occasione e cimentandosi perfino nel cronometrare tutte le mie gare con il suo telefono. Per questo, pur non essendo più fisicamente con me, credo sia lui la persona che ha sempre fatto il tifo per me, in maniera incondizionata, e che molto probabilmente mi accompagnerà a modo suo anche alle Olimpiadi. Dal canto mio terrò fede alla promessa e correrò sentendolo al mio fianco, come se fosse un po’ la mia stellina che mi guida dall’alto.
Che cosa vuol dire per te avere la responsabilità di rappresentare la Liguria e Genova a livello olimpico?
In questi anni, tra una gara e l’altra, a noi atleti è già capitato molte volte di parlare delle nostre città e regioni di origine. In generale ho sempre combattuto un po’ per la Liguria e per Genova, perché ogni volta mi sentivo rispondere “Ah vieni da Genova, bello l’acquario”, oppure sentivo sempre lo stesso cliché sull’essere tirchi. Naturalmente non penso di essere una persona tirchia e non smetterò mai di dire che nella mia città non esiste solo l’acquario ma tante altre attrazione altrettanto affascinanti. Questa appartenenza è diventata via via più forte dopo essere stata nominata ambasciatrice di Genova 2024 Capitale europea dello sport.
Senza ombra di dubbio, Genova è il luogo in cui tutto iniziato e, se non avessi messo piede in quel campo, forse non avrei mai cominciato a fare atletica. Per questo, ogni tanto sento il bisogno di ritornare per qualche giorno nella mia città e rientrare a Villa Gentile per allenarmi e trovare la giusta concentrazione. In quel luogo ormai familiare riesco infatti a sentire la vera essenza della mia Liguria, traendo beneficio dal clima sereno di casa. Alla luce di tutto ciò, penso che essere una degli atleti liguri alle Olimpiadi sia quindi un grande onore e anche un privilegio non scontato.
Come mai hai scelto proprio questo sport e come hai iniziato?
Da piccola mia mamma faceva atletica ed era specializzata nella velocità. Pur essendo il suo opposto tecnicamente, ho iniziato a correre con lei la domenica mattina intorno alle 7 e, così facendo, pian piano mi sono innamorata sempre di più della corsa. All’epoca giocavo calcio però d’estate non mi allenavo, per cui avevo tutto il tempo per dedicarmi a questo nuovo sport. Avevo circa 13-14 anni, o anche qualcosina in meno, e alla fine decisi di iniziare un nuovo percorso nel mondo dell’atletica.
All’inizio ho avuto alcuni tentennamenti, perché il calcio mi piaceva molto e mi divertivo tanto in campo insieme alle mie amiche. I primi passi nell’atletica sono stati invece un po’ traumatici perché comunque si trattava di uno sport individuale in cui l’ansia e la pressione ricadevano direttamente su di me. Nonostante ciò, quando ho capito come apprezzare questo sport e tutte le sue particolarità ho iniziato ad amare l’atletica. Correre era una cosa che fin dall’inizio mi faceva stare molto bene, per cui posso dirti che dalle prime corse con mia mamma non ho mai più smesso.
Come sei riuscita a gestire pressioni ed emozioni dopo questo cambiamento?
Andando avanti e capendo che alla fine avrei potuto fare affidamento solo su me stessa, nel senso che stando male avrei perso da sola, sono riuscita a fare un vero e proprio switch mentale che mi ha permesso di superare le pressioni nonostante la mia giovane età, appassionandomi sempre di più a questo sport. Quando sei in squadra è generalmente più semplice andare avanti perché puoi fare affidamento sui tuoi compagni, tuttavia se la squadra non riesce ad ingranare non c’è niente da fare, anche se individualmente sei molto forte. Nell’atletica, come in altri sport individuali, è invece totalmente diverso e l’idea che il risultato dipenda solo da me è un qualcosa che mi piace molto. Per quanto non sia comunque stato un percorso facile, fortunatamente con l’età e continuando a farmi le ossa in gara sono riuscita a farci l’abitudine.
Se dovessi dare un consiglio a una giovane ragazza che ha iniziato il suo percorso nel mondo dell’atletica, che cosa le diresti?
Spesso tanti ragazzi non si sentono all’altezza a livello psicologico. Ci sono passata anche io, subendo tantissime critiche fin da quando ero piccolina, perché quando una gara non va per il verso giusto dall’esterno è sempre difficile riconoscere che forse quel risultato negativo può essere stato causato da qualche scelta sbagliata a livello fisico.
Ovviamente è più facile dire che l’atleta non ha testa, per cui il primo consiglio che darei ad un giovane atleta in erba è di non soffermarsi su quello che si ha intorno e su quello che dice la gente. So che è difficilissimo riuscirci, soprattutto da piccoli, però tutto ciò non deve mai distoglierti da quello che stai facendo, diventando piuttosto una fonte di motivazione. Tante volte mi sono concentrata sul mio atteggiamento e sugli aspetti mentali, arrivando a pensare di non essere in grado e altre cose del genere.
La verità, però, è che tutto questo non c’entra nulla. Quando si è pronti a fare uno sport del genere e quando ci si approccia a una disciplina come l’atletica bisogna farlo con tanto amore e con grande passione, senza pensare troppo “alla testa”. Per questo consiglio sempre a tutti gli atleti di divertirsi, soprattutto all’inizio e quando si è piccoli, perché se non ci si diverte e se si vuole diventar grandi fin da subito si rischia seriamente di perdere molto velocemente l’amore per questo sport. Da piccoli bisogna invece morire dalla voglia di indossare le scarpe e andare a correre, senza pensare troppo a tutto il resto. A volte si ha la cattiva abitudine di prendersela appunto con lo sportivo quando qualcosa non va e in certe occasioni sono proprio gli allenatori a sbagliare qualcosa sotto questo aspetto.
Per quanto mi riguarda sono convinta che a 14, 15 o 16 anni debba esserci soprattutto il divertimento, perchè per ottenere risultati c’è sempre tempo! Per parlare di questo tema così delicato, la mia società civile mi ha fatto parlare davanti ad alcune ragazze e devo dirti che è stata un’occasione davvero bella e importante per me.
La prima emozione che ti viene in mente ripensando a quel tuo intervento?
La prima cosa che mi viene in mente e che in realtà mi ha un po’ lasciato stupita è che comunque, per quanto fossi giovane, le ragazze mi ascoltavano e mi guardavano con occhi diversi rispetto a come avrebbero fatto con un allenatore o con una qualsiasi altra figura un po’ più grande di me. Un altro momento chiave è stato quando ho consigliato a tutte loro di non lasciarsi influenzare e di non pensare troppo “alla testa”, preoccupandosi piuttosto di continuare a correre e a divertirsi. In quel momento, molte di loro si sono infatti soffermate su questa frase sentendosi toccate nel profondo.
Questa situazione mi ha fatto riflettere molto su quanto si tenda spesso a considerare già grandi gli atleti più giovani, spingendoli via via a dimenticare che il divertimento è la cosa più importante. Ciò che mi ha stupito di più è stata dunque la loro predisposizione ad ascoltarmi e penso che ciò sia stato possibile anche grazie al mio atteggiamento. Ricordo infatti di non essermi posta come una che avrebbe dovuto insegnare qualcosa ma come una persona capace di dare qualche consiglio condividendo la mia esperienza e ascoltando le storie delle altre. Da questo incontro ho imparato molto anche io e penso che ciò che ho vissuto quel giorno sia stato fondamentale per la mia crescita personale, soprattutto in un momento in cui avevo a che fare con un infortunio.
Quanto riesci ancora a divertirti e a conservare quell’entusiasmo di cui mi hai parlato prima?
Beh, credo appunto che divertirsi sia il trucco. L’obiettivo principale che mi sono prefissata è riuscire sempre a scendere in pista e a divertirmi in gara. Quando mi diverto riesco a non pensare alla gara anche se qualcosa non è andato per il verso giusto. Se invece non sono riuscita a divertirmi cerco di capire cosa è successo e ci lavoro su, perché spesso ci sono gare in cui mi diverto moltissimo e altre che, anche in caso di risultato positivo, non riescono a lasciarmi il sorriso. Penso quindi che questa introspezione sia fondamentale per raggiungere una consapevolezza tale da farmi scendere in campo e farmi divertire a prescindere da tutto. Quando impari a farlo, nonostante le difficoltà e gli ostacoli “fisiologici”, arrivi finalmente ad amare ciò che fai con tutta te stessa, riuscendo a non mollare mai e a dare sempre il massimo.
Qual è stato il momento più difficile della tua carriera finora e come hai fatto a superarlo?
Sono un’atleta che ha avuto molti alti e bassi durante la sua carriera, per questo dico sempre agli altri di crederci fino in fondo perché se ci sono riuscita io può farcela veramente chiunque. Scherzi a parte, penso che il momento più tosto finora sia capitato nell’ottobre 2021 in seguito al cambio di allenatore. Quel momento mi ha distrutto mentalmente tanto da non riuscire più a ritrovare la mia serenità, per cui, dopo aver iniziato a star male ho sentito la necessità di cambiare.
Non so dirti quando e come sono andata avanti perché non credo di aver ancora somatizzato il tutto ma, alla luce di tutto ciò, adesso cerco di fare molta attenzione quando parlo con i ragazzi, insistendo sull’importanza della figura dell’allenatore e consigliando sempre di sceglierla con attenzione, essendo pronti a cambiare se c’è qualcosa che non va. Ad ogni modo, dopo una breve e impegnativa transizione, durata fino più o meno al mio compleanno (n.d.r. 20 dicembre) ho poi scelto Stefano, il mio attuale tecnico. Mi ero infatti ripromessa di prendere la decisione definitiva dopo il mio compleanno.
Domanda flash: cosa ti ha convinto di lui?
Con il mio attuale allenatore è stata una questione di imprinting a prima vista. Dopo avergli parlato ricordo infatti di aver scritto ad una delle amiche che al tempo avevo accanto per dirle che avevo già deciso. Sono infatti una ragazza molto istintiva e, pur essendo consapevole di dover prendere il giusto tempo per decidere, in cuor mio sapevo che Stefano sarebbe stato l’allenatore giusto per me. Nonostante ciò, non gliel’ho di certo detto subito! La comunicazione ufficiale gliel’ho infatti data qualche giorno dopo il mio compleanno, poco prima di Natale. Prima di chiamare Stefano ho comunque contattato per educazione gli altri allenatori con cui avevo parlato, ringraziandoli per la disponibilità e per il confronto.
Dopo un momento difficile, come sei riuscita a maturare questa tua nuova consapevolezza?
Non l’ho maturata da sola ma grazie all’aiuto e alla vicinanza di chi mi è stato vicino e mi ha aiutato a comprendere e superare quella situazione grazie alla lucidità che riusciva ad avere dall’esterno. Per quanto a volte sia pesante rendersi conto della realtà, tutto ciò mi ha aiutato ad andare avanti e a ritrovare la serenità e, per questo, penso che nel percorso di ogni atleta siano fondamentali soprattutto quelle persone esterne che riescono appunto a vedere la situazione con maggior chiarezza.
Qual è stato invece il momento più bello in assoluto della tua carriera?
Credo che Budapest e i Mondiali dell’anno scorso rappresentino la cosa più bella che mi sia capitata finora. Tra i tanti momenti positivi che ho vissuto, Budapest è stato forse quello che mi ha dato la consapevolezza che avrei potuto fare quel tipo di atletica che desideravo.
Cosa provi rivedendo le immagini di quei momenti?
Non posso farlo, non posso guardarle troppo! Mi è capitato di farlo qualche volta, non tantissimo perché la mia famiglia era così “rimbambita” da quel risultato da dimenticare di registrare la mia gara, per cui ho rivisto solo qualche spezzone. Ad ogni modo, ho rivissuto le mie emozioni e quelle dei miei genitori che erano lì e devo dirti che è stato molto bello.
Che cosa ti ha insegnato questa avventura?
Venivo da un periodo non positivo in cui non riuscivo a centrare le gare, quindi ero un po’ giù e non avevo molta fiducia in me stessa. Budapest mi ha quindi insegnato semplicemente che quando si ha un obiettivo bisogna avere fiducia nel percorso, imparando a respirare e ad andare avanti se qualcosa non va per il verso giusto. Questa competizione mi ha fatto capire anche che l’importante è esserci quando conta e che posso raggiungere qualsiasi obiettivo se mi sento pronta e fiduciosa nei miei mezzi. Ho infatti compreso che le cose vanno bene quando le si prepara nel modo giusto e, dovendo tirare le somme, posso dirmi orgogliosa di tutto ciò che ho fatto. Sono inoltre sicura che i periodi negativi e le batoste servano a noi atleti per maturare e crescere individualmente e, per quanto mi riguarda, penso di essere ancora molto acerba sotto alcuni aspetti. Per il momento, però, me lo concedo.
Pensi che in futuro un successo sempre più costante e grande possa cambiarti oppure no?
È stato un percorso così lungo, dettato da tanti step in avanti e indietro, per cui avrei già dovuto cambiare. Se in futuro avrò l’onore di raggiungere traguardi ancor più importanti non credo che questo possa mai riuscire a cambiarmi. Almeno me lo auguro, altrimenti mia madre mi tirerebbe due sberle!
Scherzi a parte, mi auguro almeno di riuscire a maturare ancora di più e diventare un’atleta con più consapevolezza senza mai superare il limite e sfociare in altro. Ovviamente tutti gli atleti sognano di vincere medaglie a livello internazionale e se un giorno avrò questo onore mi auguro di essere stata educata così bene dai miei genitori da rimanere sempre fedele a me stessa e ai miei valori.
Qual è il tuo idolo e cosa avete in comune?
Un’atleta che mi piace molto è Laura Muir, anche se da piccola ho sempre ammirato Caterine Ibargüen, un’atleta straordinaria specializzata nel salto triplo. Ogni volta che la guardavo gareggiare mi si illuminavano gli occhi perché riusciva a trasmettere una grinta e una carica fuori dal comune. Mi auguro un giorno di riuscire a rispecchiarmi in lei e in quella sua potente voglia di “spaccare tutto”. Spero infatti di poter scendere in pista con il solo pensiero di voler correre il più forte possibile, senza troppe paure e senza troppi pensieri.
Noi professionisti siamo ovviamente molto avanti sotto certi aspetti, ma di certo non siamo immuni alle paure. Tutti hanno infatti delle insicurezze, per cui mi auguro di essere come lei e di combatterle tutte come farebbe lei. Ogni volta che partecipava alla Diamond League a Monaco noi andavamo a vederla e non vedevo l’ora di veder gareggiare un’atleta che è stata il mio idolo più grande da piccolina.