Maggie Eillen Pescetto: dalle onde di Genova al debutto olimpico
Al suo debutto olimpico, Maggie Eillen Pescetto è pronta a lasciare il segno: sfiderà il vento e le onde della Marina di Marsiglia. Con il tricolore orgogliosamente dipinto sulla sua tavola
Passione, semplicità e una maturità fuori dal comune sono solo alcuni dei tratti distintivi di un’atleta che, in punta di piedi e con tanto duro lavoro alle spalle, rappresenterà l’Italia, la Liguria e Genova alle prossime Olimpiadi di Parigi. Da sempre sostenuta dalla sua famiglia di origine italo-irlandese, con un nonno speciale e amiche disposte a seguirla in capo al mondo è un esempio più unico che raro di quanto sia fondamentale poter contare su una cerchia di cari e persone fidate, tanto nei momenti più bui quanto in quelli più felici.
E se il kite è, come la vita, un susseguirsi di alti e bassi, proprio come se si fosse costantemente in mare aperto, Maggie Eillen Pescetto sembra aver trovato la quadra giusta nonostante la giovanissima età: godersi il percorso e imparare a godere appieno di ogni momento, positivo o negativo che sia, senza pensare sempre e solo al risultato. A pochi giorni dal suo battesimo olimpico, ripercorriamo la carriera e conosciamo un’atleta che, ancor prima di scendere in acqua, rappresenta un importante esempio non solo per i più giovani.
Cosa rappresenta per te questo debutto olimpico?
È difficile in realtà spiegare a parole cosa vuol dire per me debuttare alle Olimpiadi. È la prima volta che sperimento un onore così grande e questa opportunità significa molto per me sia perché mi ha concesso l’onore di poter rappresentare il mio paese e la mia regione a livello internazionale sia perché può essere considerata il coronamento del mio lavoro e del mio lungo percorso individuale.
Quali sono stati i tuoi primi passi in questa disciplina?
Ho iniziato a 13 anni con il kitesurf standard perché si era liberato un posto ai giovanili di Buenos Aires. Purtroppo non ho superato la fase di selezione al termine di una piccola campagna che mi ha comunque permesso di confrontarmi con tante altre atlete davvero in gamba. In seguito, la nostra Federazione ci ha fatto provare questa il kitefoil nel 2018 in previsione del debutto di questa nuova disciplina alle Olimpiadi. All’inizio è stata una vera e propria transizione da uno sport all’altro perché, anche se l’idea della vela e della tavola era la stessa, le regole di gioco e l’attrezzatura cambiavano totalmente, costringendomi quindi a ricominciare da zero a partire dal 2019 con lo studio delle regole e delle dinamiche di gara.
Dopo aver imparato le nuove regole e aver scoperto questo nuovo mondo ho poi iniziato ad appassionarmi sempre di più. Nel frattempo, anche il sogno olimpico cresceva sempre di più dentro di me, diventando un pensiero via via più concreto. Se all’inizio non pensavo troppo a questa possibilità durante gli allenamenti, con l’avvicinamento dei Giochi ho iniziato man mano ad autoconvincermi di potercela fare. Per questo, due anni fa mi son posta l’obiettivo di dare il massimo per poter realizzare questa possibilità e dimostrare a me stessa di avere tutte le carte in regola per riuscirci. E dopo esserci riuscita posso dirti che questa è stata la cosa più bella, soprattutto perché non sono una persona che crede molto in sé stessa, per cui questo switch di mentalità mi ha aiutato tantissimo.
Quanto pensi che lo sport ti abbia aiutato a continui ad aiutarti ad acquisire consapevolezza nei tuoi mezzi?
Lo sport è fondamentale! Come ti ho detto poco fa, sono una persona abbastanza timida e introversa che non riesce sempre a credere in sé stessa, per cui lo sport mi ha dato una grande mano. Sono cresciuta in un ambiente sportivo con persone forti che mi hanno ispirato e insegnato tanto, motivo per cui ti dico che lo sport mi ha permesso di crescere e maturare più velocemente rispetto a quanto avrei potuto fare nella vita quotidiana, accelerando il mio processo di crescita e insegnandomi la disciplina in un tempo ristretto. Per questo sono contenta delle tante soddisfazioni che lo sport mi ha dato e che continua a darmi, gioie non sempre legate esclusivamente ai risultati sportivi ma anche alla mia crescita personale.
Tra tutte le persone che hai incontrato e con cui hai lavorato, chi ti ha ispirato di più finora?
In realtà tutte le persone sono fonte d’ispirazione per me. Dovendone scegliere una non vorrei darti una risposta scontata anche se se ti direi la statunitense Simone Biles. Credo che ogni atleta abbia, ciascuno a modo suo, qualcosa da dare e da dimostrare e questa sportiva è stata fonte d’ispirazione anche per aver parlato di un tema fondamentale, soprattutto nel mondo dello sport: la salute psicologica. Allo stesso tempo ti direi che anche il mio compagno di allenamento è per me fonte d’ispirazione per la passione, l’impegno e il sacrificio che ci mette ogni giorno. Cerco infatti di prendere il meglio da ogni persona che incontro lungo il mio percorso, dall’allenatore agli altri atleti e a tutte le persone che, lontano dai riflettori, lavorano e ruotano attorno al mondo dello sport, per cui è un po’ limitante dover scegliere solo il nome di una persona o necessariamente di uno sportivo.
Quando e come è iniziato tutto?
Vengo da Genova che, di base, è una città in cui ci sono molti velisti e in cui è ben radicato il mondo della vela e il mio circolo, lo Yacht Club Italiano, tra i primi e più prestigiosi. Mio nonno, inoltre, è un ex velista, per cui diciamo che la passione per le onde e il vento mi scorre un po’ nel sangue. Fin da quando ero piccola, più o meno dai dieci anni in poi, ogni estate i miei hanno portavano me e i miei fratelli sulle Derive Optimist, le prime piccole barchette su cui si va per imparare ad andare a vela. All’inizio era una situazione un po’ forzata che mi spingeva a provare una sorta di amore/odio nei confronti del mare, soprattutto perché mi scocciava stare sotto il sole su un’imbarcazione davvero lenta mentre mio nonno continuava a insistere su quanto le regate e la vela fossero belle. Per non parlare di quando non soffiava neanche un filo di vento e rimanevo ferma in acqua al caldo.
Detto ciò, essendo cresciuta in Liguria per me il mare è tutto e con il passare del tempo questa mia passione è diventata sempre più forte, soprattutto dopo aver provato per la prima volta il kitesurf mentre ero in vacanza. Sono una ragazza dinamica che ama l’adrenalina piuttosto che la staticità, per cui la velocità di questo nuovo sport mi ha subito colpita e conquistata. Fortunatamente il kite ha rappresentato il giusto compromesso per me e per la mia famiglia: ero infatti felice di poter uscire in mare senza dover star ferma sotto il sole su una barchetta molto lenta e, allo stesso tempo, mio nonno era felice nel vedermi comunque tra le onde.
Qual è stata la prima persona a cui hai detto della tua convocazione alle Olimpiadi?
Quando ho ricevuto la chiamata ufficiale ero con mia madre, per cui lei l’ha saputo praticamente in tempo reale. La prima persona che ho sentito è stata invece la mia migliore amica, perché penso che avere degli amici veri in questi percorsi sia la cosa più importante per andare avanti. Oltre a tutte le persone con cui ho lavorato e lavoro quotidianamente, e naturalmente alla mia famiglia, sono infatti profondamente grata alle mie amiche per il sostegno e per essermi sempre state accanto. La vita di ogni atleta è costellata sia di gioie e soddisfazioni sia di sacrifici e momenti più complicati, aspetti non sempre visibili dall’esterno che vengono invece notate da chi ti sta vicino, per cui avere delle persone capaci di tirarti su quando tutto sembra andare male è importantissimo.
Per questo ho sentito il bisogno di condividere con lei un risultato così straordinario. La prima cosa che le ho detto è stata “Andiamo alle Olimpiadi”, poi siamo scoppiate a piangere per la gioia. Avere accanto le mie amiche al mio debutto olimpico a Marsiglia mi rende ancora più felice perché questi Giochi Olimpici rappresentano la chiusura di un cerchio e il coronamento di un sogno per tutte noi. Senza il loro supporto e il loro sprono non sarei infatti riuscita ad andare avanti e ad inseguire questo obiettivo con la stessa determinazione e motivazione, per cui è giusto che siano con me e che vivano con me un’Olimpiade che appartiene anche a loro. D’altronde Marsiglia è abbastanza vicina alla Liguria, quindi seguirmi fisicamente non sarà troppo complicato per fortuna!
Qual è stato il momento più difficile della tua carriera finora e come sei riuscita a superarlo?
Penso di aver vissuto il momento peggiore della mia carriera l’anno scorso, in occasione del test event olimpico, una vera e propria gara preparatoria in vista delle Olimpiadi a cui volevo partecipare con tutta me stessa. Ciascun paese aveva a disposizione due slot atleta, uno per sesso, per cui bisognava superare la fase di selezione. Pur non trattandosi di una gara così importante, la mancata convocazione a causa della mia ultima stagione non positiva è stata dura da digerire. Dopo aver iniziato a credere in questo sogno olimpico, investendo tante energie mentali e fisiche, questa battuta di arresto mi ha buttato giù. Nonostante il grande disagio legato a quel momento, l’aiuto della mia famiglia, del mio circolo di appartenenza, delle mie amiche e di figure professionali mi ha aiutato a trasformare lo sconforto in motivazione per continuare a migliorare durante l’anno e per raggiungere comunque le Olimpiadi.
Con il tempo quella grandissima delusione è così diventata un trampolino di lancio verso un nuovo inizio. Dopo essere ritornata a casa per staccare la testa e riprendermi, lo sprono, la positività e gli incoraggiamenti di tutte le persone che ho accanto mi hanno infatti permesso di ricominciare a sognare le Olimpiadi, convincendomi pian piano che avrei avuto a breve altre occasioni per conquistare un posto ai Giochi di Parigi 2024. Per questo sono ritornata in campo ancor più decisa di prima, pronta a lavorare sodo per superare i miei limiti e dare molto di più del 100%.
Questa esperienza mi ha anche insegnato l’importanza di avere vicino figure professionali capaci di sostenere il percorso di un atleta, dal mental coach allo psicologo. Ho infatti intrapreso un percorso di questo tipo e ne sto tuttora traendo notevoli benefici, per cui penso sia fondamentale per ogni sportivo poter contare su professionisti in grado di facilitare la somatizzazione dei momenti più complicati per trovare nuove motivazioni e tornare in gara con nuovi stimoli. Dopo anni di percorso si arriva poi ad avere una buona conoscenza e consapevolezza di sé e delle proprie emozioni, imparando a gestirle nel modo giusto, un aspetto fondamentale nella vita di tutti, atleti e non solo, per superare le sfide e le difficoltà quotidiane.
L’immagine idealizzata dell’atleta invincibile e immune a momenti bui e fallimenti mette invece pressione sugli stessi atleti, convincendoli di essere vere e proprie macchine da risultato senza il minimo margine di errore. Al di là di tutto, noi sportivi siamo invece delle persone comuni con le nostre emozioni, le nostre gioie e i nostri dolori. Non conosco personalmente gli altri atleti, soprattutto quelli più forti e famosi, ma penso che nemmeno loro siano macchine immuni alle difficoltà e agli stimoli del mondo reale.
Cosa consiglieresti ad un giovanissimo che sogna di seguire il tuo esempio?
Innanzitutto gli direi di godersi il percorso. Anche io sto ancora imparando a farlo, per cui ripeterlo a voce alta mi aiuta molto. Per quanto il risultato aiuti e conti è infatti fondamentale vivere al meglio l’intero processo di crescita sportiva e umana, imparando a gioire nei momenti positivi senza abbattersi in quelli negativi. Per godersi appieno questa esperienza non si può infatti fare a meno degli alti e bassi, per quanto possano spaventare soprattutto all’inizio. L’obiettivo principale di un atleta che intraprende un percorso sportivo dev’essere infatti puntare un determinato evento dopo aver vissuto appieno tutto il viaggio, riuscendo così a trarre il meglio dai momenti difficili e conservando il ricordo di ogni traguardo intermedio, dal più piccolo al più grande.
Solo così ciò per cui abbiamo lavorato sodo può davvero lasciarci qualcosa di più profondo rispetto alle “sole” emozioni di gara, facendo sì che la magia continui anche dopo la fine dell’evento stesso. Ovviamente non riesco ancora a farcela sempre, ma spero di riuscire a divertirmi e a godermi ogni volta il percorso senza stressarmi troppo pensando solo al risultato. Altra cosa fondamentale che direi è quella di seguire sempre una passione, perché senza questo elemento è difficile trovare la spinta per fare bene qualcosa e lavorare sodo per migliorare e raggiungere traguardi sempre più importanti.
Come sei riuscita a gestire i momenti più negativi e le critiche, se ne hai mai ricevute?
Sono un po’ un lupo solitario, per cui preferisco rimanere lontana dal rumore per distrarmi e pensare ad altro. Mi capita ad esempio di leggere, guardare le mie serie preferite o parlare con le mie amiche di cose che non riguardano le emozioni di un determinato momento. Preferisco infatti ritrovare la tranquillità e la lucidità prima di dedicarmi alla gestione emotiva dei miei pensieri e delle mie sensazioni. Durante un evento tendo invece ad accantonare momentaneamente le emozioni forti per non avere impedimenti, riservandomi di analizzarle successivamente a seconda delle situazioni.
Qual è stato invece il momento più bello della tua carriera?
In realtà ce ne sono due. Penso che il primo momento più bello della mia carriera finora sia stato il mio ritorno a casa dopo essermi qualificata alle Olimpiadi. Dopo un intero periodo lontano durante l’inverno, tra allenamenti con la squadra e la federazione, il mio circolo ha organizzato una serata stupenda in mio onore a cui hanno partecipato, oltre ai rappresentanti del mio circolo e della federazione, i miei familiari, i miei nonni e tutte le mie amiche. Posso dirti con certezza che quella è stata la prima occasione in cui ho iniziato a realizzare cosa stava succedendo. Con la chiamata ufficiale non ero infatti riuscita a capire appieno cosa volesse dire andare ai Giochi Olimpici, mentre quando ho condiviso questa gioia con i miei cari e con chi ha sempre creduto in me è stato tutto più chiaro.
Il secondo momento più bello l’ho vissuto l’anno scorso durante i Mondiali di qualifica di vela dell’Aia. È stata una giornata di agonia totale perché dopo cinque giornate di gara ci aspettava un’ultima sfida per qualificare ufficialmente la nostra nazionale alle Olimpiadi al primo tentativo. La pressione era altissima, soprattutto perché ero ottava in una classifica che garantiva l’accesso ai Giochi di Parigi alle prime otto nazioni, per cui l’ultima gara sarebbe stata decisiva. Ricordo che quel giorno non c’era vento, per cui abbiamo aspettato un sacco di tempo in spiaggia nell’attesa delle condizioni meteo giuste per regatare. Purtroppo stavo affrontando un periodo particolarmente duro livello personale, tra diverse questioni personali accadute poco prima della gara e la scomparsa di mio nonno, il che rendeva quel momento ancor più particolare. Fortunatamente una mia amica è poi venuta in Olanda l’ultimo giorno per accompagnarmi nell’ultimo atto di quell’avventura e supportarmi in un momento in cui ero in balia di emozioni molto forti.
Quindi com’è andata a finire?
Morale della favola, dopo una giornata di attesa e incertezza non siamo riuscite a gareggiare, per cui ho qualificato l’Italia per un solo punto in più rispetto all’atleta spagnola che era sotto di me in classifica. Ricordo perfettamente la scena: ero seduta a tavola con il mio allenatore Simone e, dopo il suono della sirena che annunciava la fine dell’evento, sono scoppiata a piangere, abbracciando poi il mio coach e la mia amica. Ero incredula perché, per quanto ci si aspettasse la qualificazione dell’Italia alle Olimpiadi, era un po’ più improbabile che donne e uomini si qualificassero insieme al primo colpo.
Considerando quanto siamo cresciute e migliorate tecnicamente nell’ultimo anno e il livello elevato delle nostre avversarie, con cui è stata una sfida alla pari, non era infatti scontato riuscire a strappare subito un pass per le Olimpiadi. Ricordo perfettamente l’entusiasmo per aver conquistato un traguardo straordinario che per me ha avuto un significato ancor più profondo e dolce. La settimana prima della gara ero infatti andata in Irlanda a trovare mio nonno, una persona speciale che mi ha sempre seguito fin dall’inizio. È stato proprio bello essere stata lì con lui prima di un impegno così importante.
Cosa ti aspetti da queste Olimpiadi?
Mi aspetto di vivere questa esperienza al massimo. Non voglio parlare di risultati perché punto a dare il meglio di me. Se ciò mi porterà in alto in classifica festeggerò ovviamente i risultati e farò lo stesso anche se il mio massimo non dovesse corrispondere ad una medaglia o ad un ottimo piazzamento, perché so di aver dato tutta me stessa per arrivare a Parigi e di essere stata al top delle mie prestazioni. Quello che voglio è godermi queste Olimpiadi con entusiasmo e come esperienza di vita, complimentandomi con le avversarie migliori di me e ritornando infine a casa con il sorriso indipendentemente da tutto. E magari spero di riuscire a pensare, guardandomi indietro tra un anno o poco più, “è stato proprio bello!”
Pensi che in futuro il successo possa cambiarti?
Per come sono fatta so di avere dei valori ben saldi, per cui non penso di cambiare in futuro. Nel caso in cui qualcosa dovesse proprio cambiare, magari in seguito a dei risultati e delle prestazioni migliori, sarà sicuramente un cambiamento in positivo che mi aiuterà a credere sempre più nelle mie capacità e a rafforzare la mia personalità.