Per aspera ad astra: la straordinaria storia di Davide Mumolo

Tra i debuttanti liguri alle Olimpiadi di Parigi 2024 spicca anche il nome di Davide Mumolo, canottiere genovese delle Fiamme Oro che, dopo aver superato sfide e difficoltà contro ogni pronostico, è diventato un autentico esempio di tenacia e sportività

Nello sport, così come nella vita professionale e in quella di tutti i giorni, è sempre più difficile imparare da un avversario o condividere con lui consigli ed esperienze. La società contemporanea, soprattutto quando il gioco si fa duro, sembra infatti maggiormente propensa al “Mors tua, vita mea” nell’ottica di un arrivismo che alla lunga rischia di lasciarci con un pugno di mosche in mano.

Grazie alla sua ricca esperienza sportiva, dagli esordi nel mondo del canottaggio ad avventure internazionali che gli hanno permesso di conoscere atleti provenienti da tutto il mondo, Davide Mumolo rappresenta invece un importante simbolo di cambiamento in un momento di assoluto bisogno. Dopo aver scoperto la bellezza della condivisione, specialmente tra rivali, e l’importanza dei rapporti umani al di là del “semplice” risultato sportivo, il canottiere classe ’94 partito dalle acque della sua amata Genova è infatti un esempio positivo per le nuove generazioni che si apprestano ad intraprendere un percorso sportivo alla scoperta dei valori più sani dello sport.

Sei emozionato?

Sì, sono emozionato perché si tratta comunque della mia prima Olimpiade. Purtroppo non ho potuto partecipare a quella di Tokyo a causa del Covid, in quanto mi ero ammalato proprio poco prima dell’inizio delle gare. Pur andando a Parigi come riserva, quello di quest’anno è almeno un passo avanti rispetto all’ultima volta. Spero inoltre che non sia la fine di un percorso ma l’inizio della mia avventura olimpica. Ovviamente nello sport come nella vita non si sa mai cosa può succedere ed essendo l’Olimpiade un evento previsto ogni quattro anni e che richiede un lavoro duro e ininterrotto, c’è sempre il rischio che qualcosa possa rovinare il sogno.

Come sei riuscito a superare la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo?

È stato un momento particolarmente difficile già a causa di una pandemia che, tra le altre cose, ha portato al rinvio dell’Olimpiade di un anno. Ricordo inoltre che all’epoca le regole per chi si ammalava erano molto stringenti, prevedendo lunghe quarantene. Dopo essere risultato positivo ho infatti trascorso due settimane in isolamento in una camera di hotel proprio nel periodo in cui erano previste le gare di qualifica per l’Olimpiade.

Come se ciò non bastasse, non essendo all’epoca ancora riuscito a vaccinarmi, il Covid mi ha colpito in maniera aggressiva, con effetti abbastanza importanti. Per questo, la ripresa è stata lunga e ha richiesto diversi mesi di convalescenza. In quel periodo si è poi ammalata anche la mia compagna che, a differenza mia, è riuscita fortunatamente a partecipare ugualmente all’Olimpiade di Tokyo. Nonostante ciò, tra l’isolamento e le ripercussioni del virus, non è riuscita a performare al meglio, per cui ti direi che quello è stato un periodo molto provante non solo a livello personale ma per tutta la mia famiglia.

Come sei riuscito nel tempo a superare la delusione iniziale e a ritornare a lavorare sodo?

È stato un percorso molto lungo siccome, dopo quel periodo un po’ difficile, è successa per una seconda volta la stessa cosa. Esattamente 12 mesi dopo il primo contagio, a poca distanza della Coppa del Mondo, il virus mi ha colpito di nuovo, facendo sfumare ancora una volta la partecipazione ad un torneo internazionale. Per non parlare anche di altri problemi di natura familiare legati a quel particolare periodo. Ad ogni modo, per venir fuori da quell’anno un po’ complesso mi sono rivolto ad un professionista, uno psicoterapeuta con cui ho iniziato un percorso che sto portando tuttora avanti e che mi ha aiutato a rielaborare un po’ tutte le situazioni che sono venute a crearsi.

Quanto pensi che sia importante per un atleta avere un sostegno psicologico?

Secondo me è molto importante perché di solito gli atleti sono considerati invincibili. Riuscire a mostrare la proprie debolezze è già visto come un segno di debolezza, soprattutto se le si mostra agli avversari. Per questo è fondamentale che negli ultimi anni sempre più sportivi facciano ricorso a professionisti del settore per migliorare il proprio modo di vivere lo sport e la vita in generale, riuscendo così anche a performare meglio in gara. 

Al di là del falso mito secondo cui gli atleti non hanno problemi, tutti gli sportivi ne hanno, indipendentemente dai loro risultati. Per questo è giusto provare a risolverli, perché prima di essere atleti si è comunque persone comuni.

A tal proposito, che consiglio daresti ad un giovane che si sta approcciando al mondo dello sport e del canottaggio?

Il consiglio principale che darei è godersi il percorso concentrandosi su sé stesso. Spesso vedo i ragazzi più giovani fare come facevo anche io ai miei tempi, concependo magari il risultato sportivo come unico obiettivo. Dare il massimo per conquistare la vittoria finale ed essere il migliore rappresenta invece sia un obiettivo giusto sia un pericolo, perché secondo me il fine principale di un atleta deve essere diventare la migliore versione di sé stesso, non puntare esclusivamente al podio.

Nella mia esperienza, pur non essendo mai stato un atleta estremamente talentuoso, sono riuscito a togliermi delle soddisfazioni importanti nonostante molte persone non abbiano mai creduto in me all’inizio. Devo fondamentalmente tutto ciò alla mia capacità di provare sempre a migliorare, dando il massimo per vedere fino a dove posso spingermi. In questo modo ho conquistato i risultati migliori della mia carriera, puntando a battere in primis me stesso piuttosto che cercare di superare gli avversari.

In definitiva consiglierei quindi ad un giovane di cercare di lavorare su sé stesso e puntare a diventare la versione migliore di sé, godendosi allo stesso tempo lo sport e tutte le soddisfazioni che può dare. Al di là degli effetti benefici sull’umore e sulla salute, lo sport può infatti dare accesso a tante opportunità nella vita. Personalmente ho fatto tante altre cose oltre allo sport e sono sempre stato principalmente uno sportivo professionista abbastanza più in là con l’età rispetto alla media dei canottieri. Nonostante ciò, ringrazio comunque lo sport per tutte le opportunità che mi ha dato e per le esperienze che mi ha permesso di vivere e che mi sono rimaste impresse più delle medaglie e delle vittorie.

©Canottaggio.org

Quando è maturata questa consapevolezza?

Ho avuto bisogno di tanto tempo per riuscirci, però devo dire che è stato un po’ il punto di svolta della mia carriera. Nel momento in cui ho smesso di guardare gli avversari e gli altri sono riuscito infatti a pensare maggiormente a me stesso, capendo come diventare la versione migliore di me. 

C’è un atleta o uno sportivo in particolare che rappresenta per te un esempio da seguire?

A dir la verità, benché non sia appartenuto alla mia epoca o al mio contesto sportivo, uno delle figure sportive che ho sempre ammirato per carisma, mentalità e carriera è Muhammad Alì. Ciò che mi ha sempre colpito è la sua capacità di combattere e di seguire sempre ciò in cui credeva, anche quando non gli conveniva. Per non parlare dei risultati storici che ha oggettivamente raggiunto. Diciamo quindi che oltre allo sportivo in senso stretto ho sempre ammirato anche un po’ il personaggio che ha creato e il messaggio che ha provato a trasmettere.

Ti ci rispecchi un po’? 

Beh, un paragone con Muhammad Alì rischia di essere un po’ impietoso ma se c’è una cosa che in cui riesco a rispecchiarmi è la capacità di seguire ciò in cui si crede, anche se a volte mi è costato tanto in termini sportivi, e di politica, diciamo così. Nonostante per qualcuno siano state scelte sbagliate o stupide, sono fiero di me per essere sempre stato fedele a me stesso e a ciò in cui credo, perché alla lunga una delle cose più importanti è riuscire a guardarsi allo specchio ed essere fieri di sé stessi. Ritornando un attimo al discorso degli esempi, per quanto quelli negativi facciano tendenzialmente più rumore e notizia, devo dire che secondo me gli esempi positivi sono un po’ ovunque nel nostro paese, spesso proprio nelle storie di quegli atleti meno famosi.

Come hai scoperto questo sport e quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo del canottaggio?

Pratico questo sport da tanti anni ormai. Ho infatti iniziato da 11 anni, per cui sono quasi 20 anni. Ricordo di aver scoperto il canottaggio un po’ per caso dopo aver fatto nuoto praticamente fino agli 11 anni. Purtroppo però, un po’ per com’era fatto l’ambiente del nuoto giovanile all’epoca, mi sono staccato da questo mondo e, convinto da alcuni amici, ho provato questo nuovo sport. Devo dire che sin subito il canottaggio mi ha colpito positivamente, anche proprio come esperienza. Se con il nuoto ero abituato a rimanere sempre concentrato sulla linea nera sul fondo di una vasca di 50 metri per due o tre ore al giorno, il canottaggio mi permetteva invece di uscire in barca e di godere del panorama, soprattutto d’estate e in una città come Genova.

Ad ogni modo, è iniziato tutto un po’ come un gioco, dopodiché si è trasformato in qualcosa di più. Sono profondamente grato anche al un gruppo di amici che questo sport mi ha permesso di creare nel tempo, con membri del gruppo sportivo originario e nuove amicizie che coltivo tuttora. Anche grazie a questo sport ho quindi incontrato persone importanti e scoperto il piacere di stare insieme, di allenarmi e di divertirmi con persone che condividono la mia stessa passione. Parlando invece dei risultati, pian piano ho raggiunto traguardi sempre più importanti, dai Mondiali juniores ai Mondiali under 23, fino ad arrivare alle Universiadi, ai Mondiali assoluti e adesso alle Olimpiadi.

Secondo te, quanto è importante nella vita di uno sportivo vivere in un ambiente sano e sereno e avere delle amicizie da coltivare anche al di fuori dell’ambiente sportivo?

Per me è tutto. Penso comunque che sia molto importante per ogni sportivo, soprattutto all’inizio, trovare un ambiente positivo e stimolante, altrimenti è difficile appassionarsi e continuare se non ci si diverte e non si sta bene. Senza ombra di dubbio, lo sport offre l’opportunità di fare delle amicizie, soprattutto se lo si pratica magari anche a livelli più elevati. Dedicando tante ore al giorno agli allenamenti e vivendo con tante altre persone in uno stesso ambiente per circa 200/250 giorni all’anno si ha infatti modo di condividere molte cose e di costruire amicizie importanti. Il fattore convivenza è dunque fondamentale, anche perché, a differenza di quella olimpica che è un po’ più piccola, la squadra del mondiale comprende dalle 40 alle 50 persone. Certo è che, non potendo scegliere con chi condividere quei momenti, non è sempre facile convivere.

Come riesci a gestire un dissapore o un’antipatia, soprattutto in un gruppo così grande?

In gruppi molto grandi può sempre capitare di non andare d’accordo con qualcuno o di avere qualche dissapore. Per quanto mi riguarda, sono una persona che tendenzialmente non cerca la scontro e che guarda molto a sé stessa piuttosto che agli altri. Per questo non ho mai avuto grosse frizioni con le persone che mi circondano, pur avendo magari opinioni differenti. L’importante è cercare di essere sempre abbastanza disponibili a trovare un compromesso o comunque un punto di incontro soprattutto quando sembra particolarmente difficile farlo. È inoltre fondamentale rimanere concentrati ogni giorno sull’obiettivo finale.

Come dico sempre, lo sport si può praticare in amicizia fino a un certo livello ma, quando i traguardi da raggiungere diventano più importanti, bisogna cercare di ottenere la migliore prestazione possibile, indipendentemente da tutto e tutti. Se si vuole partecipare alle Olimpiadi e raggiungere certi livelli è infatti importante rimanere concentrati sul proprio obiettivo, tenendo a mente che in gara, anche se si è con i propri migliori amici, tutti gli altri sportivi sono dei colleghi, proprio come in un lavoro d’ufficio. Durante il percorso sportivo si ha naturalmente l’occasione di stringere amicizie vere e durature, però penso sia fondamentale imparare a gestire i rapporti e a collaborare per raggiungere un fine comune anche con chi a pelle non ci sta troppo simpatico.

Alla luce di tutto ciò ti direi quindi che lo sport non è sempre inclusivo, per quanto sarebbe bello far vincere tutti. Questo mondo premia infatti gli atleti più forti che, con tanto duro lavoro e abilità nei momenti decisivi, riescono ad ottenere il miglior risultato possibile. Ciò rende lo sport una vera e propria scuola di vita che insegna a rimanere concentrati su uno o più obiettivi, rimanendo fedeli a sé stessi e imparando a collaborare.

Qual è stato il risultato sportivo più bello e importante della tua carriera finora?

Ci sono due momenti della mia carriera che ricordo sempre con piacere. Il primo è legato al mio primo Mondiale Assoluto, un’esperienza che assomiglia un po’ ad uno di quei film americani in cui gli underdogs vincono il campionato contro ogni pronostico. Spinto dal mio allenatore dell’epoca dopo essermi laureato e aver finito l’università ero infatti appena entrato in squadra. Ancora non facevo parte delle Fiamme Oro e, grazie all’incoraggiamento del coach, avevo partecipato alle selezioni per la nazionale assoluta. Ricordo di essermi allenato e di averci provato senza però nutrire aspettative troppo alte. Nonostante ciò, sono arrivato a superare con successo questa fase e ad ottenere la chiamata ufficiale in squadra. Dopo essere stato convocato ho iniziato a gareggiare in un otto, dunque su una barca più lunga in cui, oltre a qualche veterano, eravamo tutti molto giovani e per lo più con poca esperienza.

All’inizio la maggior parte delle persone ci sottovalutava, credendo che non avremmo mai raggiunto qualche risultato importante. Nonostante ciò abbiamo iniziato a lavorare sodo ma con tranquillità e, al termine di un’estate di allenamento e fatiche importanti, abbiamo conquistato un bronzo mondiale contro ogni pronostico, diventando una delle poche squadre nella storia a regalare all’Italia questo traguardo internazionale. È stato semplicemente incredibile, soprattutto perché quel podio arrivava a pochi mesi dall’ultimo posto alla nostra prima gara agli Europei, per cui quel bel salto di qualità in un lasso di tempo così breve rendeva il tutto ancor più straordinario!

Il secondo, e forse anche più recente, è legato ad un risultato nel singolo. Il passaggio dall’otto a questa tipologia di gara individuale non è stato semplice, soprattutto perché, dopo aver gareggiato e condiviso molto con altri otto compagni, incluso il timoniere, ho dovuto abituarmi a parlare e a contare su me stesso su un’imbarcazione più piccola. Il singolo è infatti una specialità molto difficile e competitiva in cui sei solo contro il mondo, per cui è ancor più impegnativo cercare di superare così tanti avversari contando solo sui propri mezzi. Per non parlare delle caratteristiche fisiche richieste da una disciplina basata principalmente sulla fisicità. Pur essendo in Nazionale e ritenendomi un discreto atleta, tra le mie doti non rientra infatti la fisicità. Per questo, all’inizio molte persone mi sconsigliavano di partecipare in singolo.

Davide Mumolo
©CONI

Ricordo che le prime gare e le prime esperienze internazionali sono state abbastanza difficili. Dopo aver preso tanti schiaffi e botte sono comunque riuscito a non perdermi mai d’animo, continuando sempre a lavorare sodo per migliorare. Fortunatamente la vittoria nella selezione in singolo e il bronzo conquistato in Coppa del Mondo contro campioni e specialisti di fama internazionale hanno ripagato i miei sforzi. Credo, a memoria, che in tempi recenti questo risultato sia stato l’unico in singolo a livello internazionale per l’Italia, almeno nell’epoca moderna. Per questo è stata una grande soddisfazione, anche se la parte più bella non è stato il risultato in sé ma il fatto di avercela fatta nonostante molte persone fossero convinte che non ci sarei mai riuscito.

Il risultato sportivo passa mentre il percorso resta. Una volta un grande campione mi ha infatti detto: “tu vinci oggi, ma domani riparti da zero”. Ogni atleta è consapevole del percorso che ha fatto, dei sacrifici e di tutte le difficoltà superate nel tempo, per cui tutto ciò gli rimane dentro in maniera indelebile al di là dei risultati, degli eventi in sé e di ciò che dicono e vedono gli altri dall’esterno. Ritornando al singolo, questa specialità mi ha però permesso, nonostante le difficoltà, di conoscere anche i miei avversari. A differenza dell’otto, ho infatti visto e sperimentato un po’ di più il rispetto reciproco tra avversari. Ho infatti avuto a che fare con tante persone come me, provenienti da altre nazioni e con culture diverse. Dopo averli affrontati in acqua sono andato a cena con loro e ho avuto modo di conoscerli lontano dall’ambiente di gara, scoprendo le loro storie e condividendo con loro la mia.

Questa meravigliosa esperienza mi ha permesso di comprendere appieno che alla fine tutte le storie sono sovrapponibili e accomunate da sogni, speranze e valori. Per questo una delle parti più belle di questo percorso è stata appunto l’aver conosciuto tante persone e l’aver condiviso con loro un’avventura che porterò sempre nel cuore. Un altro aspetto che mi ha stupito è stato constatare la grande disponibilità nello scambio di consigli nonostante la rivalità. Devo infatti molto a ciascuno dei miei avversari, soprattutto a quelli che conoscevano e gareggiavano in questa specialità da più tempo di me, perché con le loro dritte sono riuscito a migliorare e ad essere più performante. A pensarci bene, soprattutto in un mondo sportivo sempre più competitivo, una cosa del genere è tutt’altro che scontata, per cui mi ritengo fortunato ad aver incontrato atleti così disponibili e speciali.

È ovvio che in gara si è tutti contro tutti, l’importante è però creare legami e rapporti umani al di fuori, perché nella vita di tutti i giorni siamo anche noi uomini e donne comuni. Tra questi sportivi che hanno segnato la mia carriera, purtroppo non tutti sono riusciti a qualificarsi alle Olimpiadi, per cui non riuscirò a rivederli a Parigi. Nonostante ciò, sono contento e grato di poterne comunque incontrare qualcuno in un’occasione così speciale. Anche io non sono riuscito ad ottenere la qualificazione nel singolo per un soffio dopo essere arrivato terzo in una gara in cui solo i primi due classificati avrebbero strappato un pass per i Giochi. Lo scarto è stato minimo e, come me, anche altri atleti delle nazionali maggiori, tra cui il vicecampione olimpico in carica, non sono riusciti a conquistare la qualificazione.

È stata una gara molto tirata che offriva 11 posti all’olimpiade per paesi di prima fascia, tra cui l’Italia, riservando gli altri a federazioni minori. Senza dubbio mi dispiace non riuscire a gareggiare contro di loro nel singolo ma sono contento per chi ce l’ha fatta al posto mio, anche perché si tratta di amici che incontrerò e saluterò con piacere a Parigi.

Cosa ti aspetti da queste Olimpiadi?

Principalmente spero di godermi appieno l’esperienza e l’ambiente olimpico, scoprendo cosa vuol dire prendere parte all’Olimpiade e vivendo sulla mia pelle la tensione che si respira prima e durante una competizione così importante. Penso infatti che questa manifestazione sia diversa da qualunque altro torneo sportivo. Ricordo di averlo pensato anche durante le Universiadi del 2015, perché vedere insieme gli atleti di tanti sport diversi rendeva quell’evento ancor più importante e solenne di altri. Per questo sono convinto che alle Olimpiadi questa solennità mista ad un po’ di sana tensione sarà ancor più forte e spero che la mia prima avventura olimpica possa arricchirmi.