Il bue, l’asinello e i macachi. Il presepe di Albisola
Il tradizionale presepe di Albisola mette i “macachi” tra pecorelle e pastori. Ma non si tratta dei simpatici primati…
Questo articolo potrebbe cominciare con il classico “C’era una volta”. Perché parliamo del Natale, di statuine e di presepi, niente di più tradizionale. E invece no, cominciamo con un “C’è ancora. Anzi. Menomale che c’è…”. Perché questa è la reazione che, di solito, si ha davanti ai “macachi” di Albisola e si ascolta la loro storia: stupore, meraviglia. Si ha l’impressione di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Una novità che si ripete da centinaia di anni.
Diciamo subito che questa è una storia molto ligure, di quelle che si possono scoprire solo nella nostra regione. La Liguria ha già di per sé una grande tradizione di presepi. Genova ne ospita di importanti e preziosi e si contende con Napoli e Assisi il primato (se esiste) di città del Presepe. Ma come spesso accade dalle nostre parti, lasciando i capoluoghi ed esplorando le riviere o addentrandosi nell’entroterra, si trovano cento, mille ligurie che aspettano solo di essere scoperte.
Come i “macachi” di Albissola. Ma cosa sono i “macachi”? No, le simpatiche scimmiette non c’entrano nulla.
Per conoscerli meglio siamo andati a parlare con Nanni Basso e sua figlia Silvia di Macachi Lab. Fanno parte di una famiglia che coi “macachi” di Albissola convive da generazioni e hanno dato vita a Macachi Lab, associazione culturale che si occupa della promozione del presepe tradizionale.
Chi sono i “Macachi”
Nanni Basso, giornalista in pensione, una vita al Secolo XIX, usa bene le parole ma non riesce a nascondere l’emozione: si capisce che questa è la sua grande passione. I “Macachi” sono le statuine del presepe tradizionale di Albisola. Sono fatte in terracotta, hanno una storia che ha più di 250 anni. Venivano prodotte dalle mogli e dalle madri di chi lavorava nelle fornaci con l’argilla avanzata da produzioni di manufatti più importanti, piatti, tazze, pignatte.
Quel nome, “Macachi” – dice Nanni Basso – è probabilmente un dispetto da parte dei ceramisti di professione che consideravano brutte queste statuine grezze fatte da popolane, talmente brutte che sembravano opera di selvaggi, di macachi, appunto. Ma noi vogliamo bene ai nostri macachi, questa parola ad Albisola ha assunto anche una sfumatura affettuosa, tanto che la usano i nonni con i loro nipoti birichini: “Ti è propriu un macacu!”.
Come nasce questa tradizione
Questa usanza ha più di 200 anni – spiega Nanni Basso – Fino all’epoca napoleonica il presepe in Liguria è sempre stato “colto”, espressione delle classi elevate: come le statue in legno del Maragliano, vestite con ornamenti e tessuti preziosi. Ma il laicismo imposto da Napoleone cancellò tutto questo, così la tradizione rinacque dal basso, dal popolo, ispirata alla vita quotidiana e ai mestieri del borgo.
Si può ben dire che il presepe rinacque dalla terra: la principale occupazione della popolazione di Albisola era la produzione di ceramica e dagli scarti, dalla terra avanzata o rubata con una ditata ai ceramisti, qualcuno cominciò a realizzare le figure del presepe.
Nacquero così le figurinaie: mogli, madri, figlie di chi lavorava nelle fabbriche di ceramica che, utilizzando la stessa terra usata dagli uomini per produrre pignatte, ognuna con i suoi stampi, realizzavano a casa queste figure.
Le statuine erano anche una parte importante dell’economia: venivano vendute alla Fiera di Santa Lucia a Savona. Esisteva un vero e proprio mercato dedicato ai presepi e i macachi ne erano parte importante.
Oggi, purtroppo, quella fiera non si fa più.
Come vengono realizzati i Macachi
Si lavora con i propri stampi, tramandati in famiglia: vi si mette dentro la terra, si risistema la figura che ne risulta, la si fa asciugare, si cuoce e infine si dipinge a freddo. Una tecnica che assomiglia ad un gioco per bambini che però è andata raffinandosi: “gli stampi sono in gesso, in due parti e per questo si dicono “bivalvi”, come le conchiglie; vi si mette dentro la terra, la creta. La figura che ne viene fuori viene ripulita con appositi strumenti e poi asciugata e cotta. Infine si aggiungono i doni che sono una parte importante del presepe che era una grande processione verso la capanna”.
Ci sono tanti tipi di macachi: “a volte sono bizzarri, inverosimili: c’è chi porta del pesce e del pane, ma anche chi ha sul capo una crostata o una farinata, come sarebbe tipico nei vicoli di Albisola. Anche i doni sono fatti a mano e appiccicati con l’uso della barbottina, una creta diluita”.
E oggi? Sono ancora le donne a fare i macachi?
“Certo. Ci fu un problema dopo la seconda guerra: prima erano moltissime le albisolesi che facevano le figurinaie, ma con l’avvento della plastica che permetteva di fare statuine che non si rompevano, i macachi erano quasi scomparsi. Fu grazie ad alcuni appassionati che non sparirono del tutto”.
Nanni Basso non nasconde, con una punta di orgoglio, che la sua famiglia ebbe una parte importante nel loro recupero: “La mia famiglia fa presepi da sette generazioni. Una delle figurinaie più attive fu zia Beatrice, tanto che ispirò il monumento tuttora in piazza del comune ad Albisola. Era un personaggio particolare, viveva in un antro streghesco, faceva impressione ai bambini, ma faceva dei macachi straordinari. La zia lasciò i suoi stampi a mio padre Baciccia che era ceramista e probabilmente lei non seppe mai che le sue figure erano finite su riviste d’arte e tra i regali natalizi di scrittori e artisti”.
I macachi tipici del presepe di Albisola
Il cuore dei macachi è la Natività, come in qualsiasi presepe: Gesù, San Giuseppe e Maria sono i soli ad avere sempre gli stessi colori. Poi ci sono figure popolari: il pastore, il fornaio, il fruttivendolo e altri. Ma Nanni Basso ne trova quattro, due coppie, davvero tipiche. “Ci sono Gelindo e Gelinda, presenti anche nella tradizione piemontese: i pastori più vicini alla capanna, probabilmente i suoi proprietari. Sono i primi a portare generi di conforto al bambinello, scarpine, fasce o anche una gallina. Gli altri due, questi tipici solo di Albisola, sono “U zeun” e sua moglie “A zeuna”: due figure che hanno tanto freddo che non riescono a portare doni e stanno ben chiuse nei loro cappotti. C’è anche il pastore “Maffeo” che, non avendo nulla da portare, suona il piffero. Ogni famiglia identificava nelle statuine i propri negozianti, il fornaio, il fruttivendolo e così via.
E poi c’è la questione Re Magi…: “Sì, i Re Magi nel presepe hanno vita davvero breve: di fatto arrivano il 6 gennaio ma il 7 il presepe si disfa… è un po’ un’ingiustizia!”
I Macachi oggi
I Macachi di Albisola non stanno mai fermi! Oggi questa tradizione ha trovato nuova vita sulla Rete. Del resto, cosa può esserci di più “social” di un presepe? Lo ha capito la figlia di Nanni, Silvia Basso, 35 anni, social media manager. Non è lei la figurinaia di famiglia, quel ruolo spetta alla madre, Simonetta Mozzone, che ha ereditato la tecnica di Beatrice e del suocero Baciccia, ma ha scelto di parlare dei Macachi con i nuovi media. Così è nato Macachi Lab, che dal 2014, attraverso il sito web e la pagina facebook ha fatto scoprire questa tradizione in tutto il mondo.
“Far rivivere i Macachi significa farli – dice Silvia – il nostro obiettivo non è mai stato quello di vendere le statuine, ma quello di farle scoprire al maggior numero di persone possibile. È in questo modo che sopravvive una tradizione. Così abbiamo condiviso con il mondo intero una storia che è sempre stata importante nella nostra famiglia. Bisognava però trovare un modo per attualizzarla. Quale modo migliore di attualizzare i Macachi che farli? Così abbiamo cominciato a organizzare corsi, come quelli alla Scuola Comunale di Ceramica di Albisola Superiore, a partecipare a mostre e fiere e oggi alcune nostre statuine compaiono in presepi importanti: qualche anno fa abbiamo partecipato ad una mostra dela Cei, i “Cento presepi” a Roma, un nostro presepe è alla Porziuncola di Assisi”.
E se qualcuno volesse comprare i Macachi per il suo presepe? “Noi abbiamo una sala museo permanente nella Fornace di Alba Docilia ad Albisola. Ma in quest’anno così complicato, la Rete ci è venuta ancora più in aiuto”