Sulle tracce del lupo

Tra i suoi molti amanti, la Liguria ne può vantare uno davvero speciale. È schivo, diffidente e lunatico, come il più ligure dei liguri. È davvero difficile incontrarlo: per farlo dovrete addentrarvi nella Liguria più selvaggia, lontano dalla costa, dalle spiagge e dalle città. E non è neppure detto che ci riusciate. Anzi…
Arriva da lontano: ma il suo è più un viaggio nel tempo che nello spazio. Detto questo, come molti foresti che scoprono la Liguria, è incredibilmente fedele, tanto che e vi s’è ormai stabilito. Ha capito che la Liguria, con più del 70% del suo territorio ricoperto da boschi e foreste, ai primi posti in Italia per la superficie forestale, è un luogo adatto a lui e ci sta chiedendo di condividerlo, esattamente come i turisti che affollano i lungomari d’estate.

È il lupo. Presenza gradita o meno, consapevoli di ciò oppure no, il lupo, specie protetta, è tornato sui monti liguri. Quel “tornato” sta perchè, probabilmente, era già qui, in Liguria con noi, all’inizio dell’”Antropocene”, l’era dell’uomo. Poi è scomparso: non senza la nostra responsabilità.
Il suo ritorno, oggi, suona un po’ come un riconoscimento, l’ennesimo patrimonio dell’umanità attribuito alla Liguria dalla natura.
Il lupo è certamente tra i più grandi amanti del verde del nostro entroterra: sa bene che la Liguria non è solo quella, pur bellissima, delle spiagge e delle coste. Ma quello che per noi sono il mare, per il lupo sono i boschi; quello che per noi sono le autostrade e i borghi, per lui sono crinali e selle boschive; e i nostri piatti tipici per lui sono l’abbondante fauna selvatica che può trovare su Alpi e Appennini.

“Il lupo se ne andò a fine ‘800 – ci racconta Paolo Rossi, professione “wolves photographer”, fotografo di lupi – in seguito allo sterminio da parte dell’uomo che dapprima eliminò tutte le specie di cui il lupo si nutre, come cervi, daini e altri animali. In seguito, quando il lupo ha cominciato ad attaccare il bestiame, ha attuato la sua eliminazione sistematica portandolo all’estinzione in Liguria”.

Paolo Rossi è la persona più adatta a raccontarci del lupo: probabilmente è la persona più vicina ai lupi che c’è oggi in Liguria. Li “intrappola” con le sue foto straordinarie o ruba loro un po’ di “privacy” con le fototrappole che dissemina per i boschi; li “bracca” per giorni al gelo sui monti finché non gli arriva lo scatto perfetto. Poi, tornato tra noi sapiens, sa come conquistarci con le foto di quell’essere che continuiamo a temere e considerare crudele e spietato ma, che in realtà, forse, invidiamo perché davvero libero.

“Il lupo è tornato nei primi anni ‘80 in maniera naturale dal cuore dell’Italia, dall’Abruzzo – continua Rossi – Gli esemplari giovani, hanno lentamente ricolonizzato le zone del nord e la Liguria è stato un magnifico corridoio naturale per far sì che il “canis lupus italicus” , il lupo, dall’Appennino arrivasse sulle nostre Alpi e poi in Francia, addirittura sui Pirenei”.

Lupo in Val D'Aveto

“Il lupo è un animale molto versatile, si adatta alle condizioni: colonizza le zone dove l’uomo non gli spara troppo o dove trova cibo, cinghiali, daini, caprioli o addirittura nutrie o istrici come in Basilicata. La Liguria è stato un luogo ideale principalmente per due fattori: perché in Liguria ci sono molti cinghiali, la sua “preda dorata”, (risultato, quello sì, di reintroduzione a scopi venatori) e perché ha trovato zone dell’entroterra pressoché disabitate in cui è stato l’uomo a scomparire. L’Alta Via dei Monti Liguri, i crinali appenninici e alpini sono stati i suoi luoghi di partenza e sono i luoghi in cui oggi è più probabile vederlo.”

“Il lupo non l’hanno portato gli ambientalisti… è tornato in Italia nei primi anni ‘80 dall’Abruzzo, per un fenomeno naturale, la dispersione. La Liguria è stata per lui un magnifico corridoio naturale. Dall’Appennino è arrivato sulle nostre Alpi e poi in Francia, addirittura sui Pirenei”.

Quella del lupo è la passione di una vita per Paolo. Ligure anch’egli, con radici a Sant’Ilario, fin da bambino si è messo sulle tracce di questo animale mitico, forse l’unico vero competitor che abbiamo in natura. Fuori della natura no, lì siamo imbattibili…

“Sono del 1983, io crescevo e i lupi tornavano… esercitavano un fascino enorme su di me adolescente. Era l’animale delle favole, quello dei film degli indiani o dei libri di Jack London. E più era difficile vederlo, più mi appassionavo. Invidio tuttora questa sua capacità di adattarsi e resistere a tutto: fame, malattie, parassiti, predatori, competizione, maltempo. Già la mia tesina, all’Istituto Agrario Marsano di Sant’Ilario, riguardava il lupo. Crescendo ho scoperto la fotografia, che mi permetteva di “catturarlo”, senza fargli alcun danno, lasciandolo libero nel suo ambiente. Il mio primo scatto fu una grande emozione: lupi nella neve, in condizioni per noi estreme, ma per loro assolutamente naturali”.

Paolo Rossi

Parlando con Paolo vengo a sapere che il lupo è tornato in Liguria non per l’introduzione da parte degli ambientalisti – quelle sono “fake news”, sul lupo ne girano moltissime –  ma per un fenomeno naturale, la dispersione degli esemplari più giovani che creano branchi lontano dai genitori. Certo, il lupo non ha un ufficio stampa e ha bisogno di noi e di una informazione corretta per sfatare i falsi miti.
Oggi parlare del lupo è di moda: non è insolito trovare articoli allarmisti sulle cronache dei giornali. Ma questi sono senza fondamento scientifico e intimoriscono le persone, una paura basata sostanzialmente sull’ignoranza. Il lavoro di Paolo, invece, è il segno della convivenza tra uomo e lupo.

“Nella mia carriera, negli ultimi 10 anni ho incontrato 30 – 35 lupi, non solo in Liguria, e nessuno di loro si è mai dimostrato aggressivo. Si tratta di un animale selvatico e con gli animali selvatici, siano essi lupi, cinghiali, volpi, gatti o cervi occorre osservare alcune regole: non dare loro cibo, non inseguirli, non gridare o non importunarli, ma rispettarli. In questo modo si può riuscire a vederli nel loro ambiente naturale e sfatare i falsi miti.

Lupo nel Parco del Beigua

Per fotografare un lupo bisogna prima incontrarlo. Ma il lupo è un essere superiore: ha un olfatto finissimo e avverte la presenza dell’uomo a una distanza incredibile. Dunque, essendo noi i suoi nemici più pericolosi, si tiene molto lontano.

“Si possono classificare due modi di fotografare un lupo: casuale o calcolato. Il secondo è il più difficile: pensare di organizzare un’attività per riuscire a fotografare un animale così elusivo è davvero difficile. A me è capitato di passare ore sui monti al freddo senza ottenere nulla. La maggior parte della documentazione è di tipo casuale: oggi molti fotografano con lo smartphone un lupo che gli attraversa per caso la strada o che caccia vicino a casa. In questo modo però non si hanno documenti interessanti: l’animale ha paura dell’uomo e se ne va con la coda tra le gambe. Nelle immagini di un professionista come me o come Nicola Rebora, che studiamo come arrivare all’incontro senza disturbare il lupo, si può avere uno scatto nitido in cui si vedono i tratti inequivocabili che distinguono un lupo da un cane inselvatichito o altro: le strisce nere sulle zampe anteriori, la mascherina bianca facciale e la schiena molto scura. Per vivere l’avventura di incontrare un lupo occorrono pazienza, volontà e costanza, oltre alla voglia di uscire dalla propria comfort zone e il coraggio di sopportare condizioni a volte estreme per non ottenere, a volte, nulla. Chi volesse provarci, mi contatti pure. A volte, cercando il lupo, si ritrova sé stessi…”.

Lupo in Val D'Aveto

“Per incontrare un lupo occorrono pazienza, volontà e costanza, oltre alla voglia di uscire dalla propria comfort zone e il coraggio di sopportare condizioni estreme per non ottenere, a volte, nulla. Ma si può ritrovare sè stessi…”

Quindi non è così semplice incontrare un lupo sotto casa…

“Non è semplice e non è impossibile: dipende, come dice Luigi Boitani – biologo massimo esperto di lupi in Italia – dall’antropologia del luogo: più il lupo è perseguitato, meno si mostrerà. Se collega l’uomo ad una esperienza negativa come una fucilata, continuerà a muoversi, ma di notte e senza mostrarsi. Se, invece, in una zona come un parco o un’area protetta si sente più sicuro, si mostrerà più facilmente. Un po’ come noi quando dobbiamo attraversare un quartiere frequentato da delinquenti…”.

Quali sono le zone in cui hai scattato le tue migliori foto?

“Sono sempre rimasto affezionato alle prime zone in cui il lupo è arrivato, quindi l’Alta Val Trebbia e l’Alta Val D’Aveto. Ma anche in Valle Argentina sono state fatte foto bellissime. Sono fedele ai miei luoghi: sono luoghi molto selvaggi che si sono salvati dalle trasformazioni dell’ultimo secolo e dove posso immaginare nelle mie foto che l’uomo non esista più e non sia più lui a dominare, bensì altre specie: lupi, volpi, gatti selvatici.
Il mio lavoro, a parte le escursioni e l’esposizione dei risultati con mostre e conferenze, è diviso in due: c’è una parte più “romantica” che è quella degli appostamenti, dell’attesa degli animali. A volte ho impiegato 5 o 6 anni per fare una foto; un’altra parte è più “tecnologica”: piazzo alcune video trappole nel bosco. Sono macchine fotografiche che si attivano al passaggio di un animale. Torno poi a controllarle dopo qualche tempo, un po’ come i cacciatori di pelli nei romanzi di Jack London. Questo sistema permette a volte di catturare comportamenti incredibili dell’animale libero in natura. Per farlo però, bisogna entrare un po’ nella testa dell’animale che si vuole filmare…”.

“Tra i lupi vale la “cooperazione opportunistica”: ci si prende cura del prossimo in modo che se ci si trovasse poi in quella situazione si otterrebbe aiuto. Un tempo lo facevamo anche noi umani…”

Chissà quante storie hai da raccontare in anni di appostamenti…

“Le storie più belle sono degli inizi, di quando mi avventuravo in tenda, da solo, in luoghi sperduti a cercare i lupi: l’emozione era fortissima, una messa alla prova continua. Quando poi riesci a sorprendere e vedere un animale così nobile, elegante nel suo territorio e ben più intelligente di te in natura, la soddisfazione è grande. Il massimo fu quando vidi cinque lupi nella neve in Val Trebbia: erano avvolti nella nebbia. Mi concessero una distanza di sicurezza di 500 metri: gli adulti mi fissavano mentre i cuccioli attorno continuavano a giocare. Il tempo si sospese: tutto sembrò svolgersi in un attimo. Ma poi verificai che tra la prima foto e l’ultima erano passate due ore.
In natura ci sono poi belle storie di “cooperazione opportunistica”: ci si prende cura del prossimo in modo che se ci si trovasse un giorno in quella situazione si otterrebbe aiuto dagli altri. Un tempo lo facevamo anche noi umani…
Questo comportamento nei lupi può portare a risultati commoventi, quello che noi chiamiamo “umanità”: in un mio breve documentario “La vendetta del lupo monco”, racconto la storia, realmente accaduta, di un maschio senza una zampa, mutilato probabilmente da uno sparo o una trappola, che cacciava con l’aiuto del branco”.

Cosa possiamo imparare dal lupo?

“Oggi, nella sciagurata situazione che stiamo vivendo, possiamo fare tesoro dell’adattabilità del lupo: l’adattarsi alle difficoltà, al clima che cambia, alle malattie, affrontando i problemi in modo elastico, traendo il meglio anche dai momenti più difficili. Grazie a questo il lupo è sopravvissuto ed è tornato ad abitare le nostre zone”.

La vendetta del lupo monco – Il trailer

In tenda sui monti liguri
Sulle Alpi Liguri. Foto di Stefano Brighenti

Cosa possiamo imparare dal lupo?

“Oggi, nella sciagurata situazione che stiamo vivendo, possiamo fare tesoro dell’adattabilità del lupo: l’adattarsi alle difficoltà, al clima che cambia, alle malattie, affrontando i problemi in modo elastico, traendo il meglio anche dai momenti più difficili. Grazie a questo il lupo è sopravvissuto ed è tornato ad abitare le nostre zone”.

Paolo Rossi. Foto di Lucia Traverso