Luigi Tenco. La musica, fino alla fine

Il 27 gennaio 1967 moriva a Sanremo uno dei più importanti cantautori della “scuola genovese”

Quando si parla di Luigi Tenco, si comincia spesso dalla fine, da quel 27 gennaio, quel Festival di Sanremo del 1967. Ma qui vorremmo prima raccontarti chi è stato e cosa significa tuttora Luigi Tenco per la musica italiana e per la Liguria.

La biografia
Arrivava dalla nebbia, Luigi Tenco e, in un certo senso, ha cercato di sfuggirle tutta la vita: era nato il 21 marzo 1938 a Cassine, un piccolo comune in provincia di Alessandria, sulle sponde del Bormida, ma nel 1948 si trasferì in Liguria, a Genova Nervi e poi a Recco, con il fratello perché la madre voleva allontanarsi dalla diceria che fosse figlio illegittimo. Fu uno shock che si porterà dietro a lungo. Frequentò le scuole a Genova, prima le scuole medie alla “Giovanni Pascoli”, poi il Liceo Classico “Andrea Doria” e poi il Liceo Scientifico “Galileo Galilei”. A Genova avviene anche il suo avvicinamento alla musica, per cui dimostrò una passione innata per il pianoforte, anche se la famiglia dopo il liceo lo iscrisse a Ingegneria Elettrotecnica, facoltà che presto abbandonò per Scienze Politiche.
Era la musica a guidare il giovane Luigi e con la musica lui trovò sé stesso e altri giovani che cercavano un futuro e divennero giganti: nel 1953 fondò il gruppo musicale Jelly Roll Boys Jazz band (Danilo Dègipo alla batteria, Bruno Lauzi al banjo, Alfred Gerard alla chitarra e Luigi Tenco al clarinetto), dopo la maturità suonava saltuariamente con il Modern Jazz Group, del pianista Mario De Sanctis, tra i cui componenti c’era un giovanissimo Fabrizio De André. Suonò poi nel Trio Garibaldi e nel 1958 entrò nel gruppo I Diavoli del Rock, con Gino Paoli alla chitarra. Si trasferì a Milano ed entrò in contatto con Sergio Endrigo e il cantautore Franco Franchi. La sua carriera può dirsi avviata nel 1961 quando partecipò alla Sei giorni della canzone e partì per la sua prima tournée in Germania, con Paolo Tomelleri, Gian Franco Reverberi, Giorgio Gaber e Adriano Celentano. Quell’autunno uscì il suo primo 45 giri, “I miei giorni perduti” e poi il 33 giri nel 1962 che conteneva canzoni come Mi sono innamorato di te e Angela. Trasferitosi a Roma, firmò con la RCA nel 1966 e arrivarono alcuni dei suoi grandi successi: Un giorno dopo l’altro, (famosa per essere la sigla di uno sceneggiato molto popolare, “Il commissario Maigret”), Lontano, lontano, Uno di questi giorni ti sposerò, E se ci diranno e Ognuno è libero. A Roma conobbe anche la cantante e attrice italiana (naturalizzata francese) Dalida, con cui ebbe una relazione importate e con la quale cantò Ciao amore ciao, al tragico Festival di Sanremo del 1967.

Dalida e Luigi Tenco
Dalida e Luigi Tenco a Sanremo

Io sono uno che parla troppo poco…
Di Tenco bisogna parlare come di un innovatore, uno dei fondatori della musica che oggi chiamiamo d’autore: la parola stessa “cantautore” sembra essere nata per definire la sua figura. Nei suoi testi c’è la volontà di rottura con la musica e la società di allora che riflettevano una mentalità statica e lasciavano poco spazio ai giovani.
Le sue sono canzoni di protesta, tra le prime in Italia: da Cara maestra (1962) a Ognuno è libero (1966) alla stessa Ciao amore ciao che, inizialmente, aveva un testo antimilitarista. Ma nelle sue canzoni c’è anche grande ironia e sberleffo del potere. Allo stesso modo si allontana dallo stile musicale del periodo, sostanzialmente ancora quello degli anni ’50, con arrangiamenti tradizionali, orchestre, coretti femminili e archi, sperimentando arrangiamenti jazz e avvicinandosi ai nuovi ritmi d’oltreoceano, con testi forse ancora ingenui ma che aprivano nuove vie. La sua voce, bassa e decisa, come quella dell’amico De André, permette la perfetta intuizione dei testi, inseriti in una musicalità quasi colloquiale e nuova.

In un mondo di luci, sentirsi nessuno…
La tempra, il carattere di Luigi Tenco presentano aspetti di assoluta modernità: aveva una grande sensibilità, ma era determinato a inseguire il successo; si schierava contro il mercato discografico e detestava le luci della ribalta, ma allo stesso tempo aveva voglia di raggiungere il grande pubblico per trasmettere il proprio messaggio e le proprie idee senza “scimmiottare” le proteste americane. Pensava che la società andasse criticata con i suoi stessi strumenti e la canzone era uno di questi. Ecco perché i suoi sono testi di rottura. Invece che frasi sdolcinate e amori eterni, Tenco cantava “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”. Invece che un sentiero illuminato nel futuro, canta l’incertezza, “Vedrai che cambierà / Forse non sarà domani / Ma un bel giorno cambierà”.
Protestare, stordire, essere “contro” non era ancora di moda, la sua non fu affatto una posa, ma Tenco la perseguì fino alla fine, fino a scontare il peso del successo, a pagare per la sua coerenza.

La scuola genovese
In quella Genova degli anni ’60, porto di storie e di idee, si trovarono tanti artisti a cui la musica dell’epoca andava stretta e che cercavano il loro posto nel mondo. Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Gino Paoli e Umberto Bindi, Sergio Endrigo sperimentavano gli accordi e le parole degli chansonnier francesi, gli influssi rock e jazz d’oltreoceano e la tradizione popolare italiana, ognuno approdando alla propria isola: la poesia per Gino Paoli, la protesta intima per Luigi Tenco, l’ironia Bruno Lauzi, la raffinatezza Umberto Bindi, una direzione ostinata e contraria Fabrizio De André, fino ad arrivare ad altri grandi della musica italiana: Ivano Fossati, Sergio Endrigo, Piero Ciampi e Paolo Conte.

Luigi Tenco, Festival di Sanremo 1967
Luigi Tenco, Festival di Sanremo 1967

Ciao amore ciao
Sulla tragica serata del 27 gennaio 1967, in cui Tenco pose fine alla propria vita nella stanza 209 dell’hotel Savoy di Sanremo si è scritto e detto tantissimo, spesso perdendo di vista le parole e la musica del protagonista di questa storia.
Luigi Tenco si presentò al Festival di Sanremo 1967 con la canzone Ciao amore ciao, cantata, con Dalida. Originariamente intitolata “Li vidi tornare” e ispirata a “La spigolatrice di Sapri”, la canzone fu cambiata per non incorrere nella censura che l’avrebbe probabilmente considerata antimilitarista. Venne trasformata in una canzone sul dramma dell’Italia contadina che si urbanizza. Contiene la malinconia di Cesare Pavese, la protesta di Bob Dylan, la ribellione delle parole che troveremo in De Andrè e un ritornello musicalmente perfetto che suonerà purtroppo come triste presagio. La canzone non venne apprezzata e fu eliminata a scapito di altre più “classiche”. Tenco spiega tutto in un biglietto. Nessuno udì lo sparo. Il suo corpo senza vita venne ritrovato da Dalida nella stanza 219 dell’albergo Savoy di Sanremo.
In sua memoria a Sanremo, dal 1974, si tiene la Rassegna della canzone d’autore organizzata dal Club Tenco.