Che italiano canta il 73° Festival di Sanremo?

Com’è la lingua del 73° Festival di Sanremo? Ce lo spiega un Accademico della Crusca, il Prof. Lorenzo Coveri

Il Prof. Lorenzo Coveri, ordinario di Linguistica Italiana all’Università di Genova e Accademico della Crusca, ogni anno stila le pagelle della lingua delle canzoni del Festival e compila le schede delle canzoni sulla pagina Facebook dell’Accademia della Crusca e altre testate.
I suoi giudizi, per quanto abbastanza “azzeccati”, riguardano però unicamente la parte della lingua italiana. Per avere un quadro completo del gradimento di una canzone, occorre sommare l’arrangiamento musicale, l’interpretazione e la presenza scenica.

Com’è, in generale, l’italiano del festival 2023?

Le scelte artistiche di Amadeus, ma in generale degli ultimi Festival, di dare molto spazio alle ultime tendenze della canzone, e ai giovani, con la compresenza di diversi generi musicali, non potevano non riflettersi sulla qualità dell’italiano festivaliero. Così si va da un canzonettese tradizionale (Anna Oxa, per esempio)  all’italiano meno sorvegliato, vicino al parlato, delle ultime leve. Ma c’è anche, tra i giovanissimi, chi scrive in modo fresco, contemporaneo (Ariete) o rivisita un linguaggio paraletterario (Ultimo). La lingua della canzone (checché ne dica chi si meraviglia, nel 2023, che l’Accademia della Crusca si occupi di Sanremo! Sarebbe strano il contrario) è un buono specchio delle tendenze dell’italiano contemporaneo. E viceversa. Come ha scritto in un celebre motto il grande linguista Roman Jakobson, parafrasando Terenzio, “Linguista sum, linguistici nihil a me alienum puto”: sono un linguista e nulla della lingua ritengo a me estraneo.

Quali sono i temi di quest’anno?

Il tema dominante è l’amore. In tutte le sue declinazioni: l’amore universale (Ultimo), l’amore per il padre (Grignani), l’amore fluido (Ariete, Rosa Chemical, Shari), l’amore come protezione della coppia (Coma_Cose), l’amore deluso (Elodie), l’amore tossico (Mara Sattei), l’amore che incenerisce (Lazza), l’amore che rende stupidi (Will) e così via. E la guerra, la pandemia, la crisi energetica, il riscaldamento globale? Lontani dalla bolla sanremese, almeno quest’anno.

E le parole più frequenti?

Come si è visto, l’amore domina anche a livello di statistica lessicale, dato che nei testi del 2023 amore è citato ben 39 volte, a pari merito con cuore e cuori. Seguono vita (28 occorrenze), giorno (25), mare (24), parole (22). A proposito di parole, troviamo pochi anglismi (il più inatteso è hangover “postumi della sbornia ’ – era il titolo di un brano di Gemitaiz del 2016 – in Mengoni), tranne quelli ormai acclimatati in italiano; pochissimi localismi (mo’); molti giovanilismi (siga) e un buon numero di voci “basse”, ossia disfemismi del parlato (“fottiti” in Mengoni; “fanculo” in Shari, “stronzi” in Colapesce Dimartino, “puttana” – che in un primo tempo doveva essere il titolo della canzone – in Madame, “merda” – anzi,  “dimmerda” – in Sethu) e via dicendo.

Errori da matita blu?

In molti testi la sintassi è traballante, il che a volte si spiega con le necessità metriche della canzone. Abbondano i malapropismi, ossia i termini usati in modo non del tutto errato, ma improprio nel contesto o nella frase, specie nelle figure retoriche. Sono proprio intollerabili, nei testi di due ventenni, (gIANMARIA -che già gioca col tasto ALT nella grafia del suo nome- e Shari) due “apposto” (forma verbale, participio passato del verbo apporre) in luogo della locuzione avverbiale “a posto”. A meno che non si tratti di un errore tipografico nella stampa dei testi (speriamo) o di un raddoppiamento fonosintattico dell’orale, lo svarione è inaccettabile, proprio per la confusione che genera tra due forme semanticamente diverse.

I nomi dei cantanti?

La presenza di pseudonimi o nomi d’arte  (Massimo Ranieri per Giovanni Calone, Al Bano per Albano Carrisi, tanto per citare due superospiti del Festival) tra i cantanti non è certo una novità. Ma la tendenza è diventata pervasiva con la nuova canzone, l’indie e il rap. Quest’anno, gli unici che si fanno chiamare col proprio nome e cognome anagrafico sono Gianluca Grignani e Marco Mengoni; molti si limitano al solo primo nome, e i più giovani si sbizzarriscono nelle invenzioni più curiose, da Colla Zio (collettivo + il saluto giovanile) a Madame (scelto da un generatore automatico di pseudonimi); da Rosa Chemical (il nome della mamma + il gruppo rock My Chemical Romance) a Sethu (dall’album At the Gate of Sethu della band metal de Nile). Ma il nickname più originale, già notato l’anno scorso, è quello di Tananai (glossato dal suo portatore, Alberto Cotta Ramusino con “piccola peste”; ma diffuso, con significati analoghi anche se non del tutto coincidenti, in vari dialetti settentrionali, forse da un verbo dell’ebraico liturgico che vale “dire le preghiere a bassa voce, borbottando”).

Chi vince il Festival di Sanremo della lingua italiana?

Sul podio vedrei volentieri Madame per l’originalità della scrittura, quasi cinematografica, con dialoghi in discorso diretto, del suo testo “Il bene nel male” e, per ragioni opposte, Ultimo per l’uso quasi classico della forma metrica in “Alba”. Ma non posso non menzionare i Coma_Cose (già premiati con il Premio Lunezia per la qualità culturale e letteraria de “L’addio”), la giovanissima Ariete, il rapper Lazza. Finirà sicuramente in modo diverso.

Il Prof. Lorenzo Coveri
Il Prof. Lorenzo Coveri